venerdì 20 novembre 2009

smagonamento e fastidio

io mi do fastidio. mi do fastidio quando mi incarto dentro me stessa nemmeno fossi una ricetta al forno, e infatti mi sale il caldo, e giro sul grill della mia ansia. mi do fastidio quando smagono per cose che non esistono, cose che esistono, cose che forse ma non è quello il punto. mi do fastidio quando mi immagino le scene e me le immagino negative, devastanti, catastrofiche, e tutta questa fantasia che madre natura ha graziosamente elargito e mi sostiene quando guardo nel vuoto all’improvviso mi si ritorce contro e mi azzanna. mi do fastidio quando mi aggrappo alla razionalità e lei mi dà ragione ma non del tutto e a me basta un millimetro di dubbio per creare un everest di certezze apocalittiche. mi do fastidio quando so che non è vero ma in fondo non lo so. mi do fastidio quando so che è vero ma non mi ci rassegno. mi do fastidio quando delle migliaia di frasi che mi ha detto una persona io devo ricordarne proprio una, proprio quella. mi do fastidio perché non mi do pace, non mi do tregua, mi stresso, mi assillo, mi dichiaro guerra. mi do fastidio anche quando mi consolo, perché non ci sarebbe nulla di cui dovermi consolare se non di me stessa, e mi do fastidio quando mi proteggo perché non c’è nulla da cui proteggermi se non da me stessa, e mi do fastidio quando mi do ragione nel torto che mi sono creata, e mi do fastidio quando organizzo strategie di difesa da attacchi inesistenti e vie di fuga da trappole intangibili e giustificazioni per errori che non ho commesso. io mi do fastidio, mi do.

mercoledì 18 novembre 2009

coscienze andate perse (come lacrime nella pioggia, ovviamente)

una volta mi dilettavo in flussi di coscienza. ora non più, per motivi pratici: la mia coscienza è stata avvistata al largo dei bastioni di orione, dove peraltro ha incontrato il mio pancreas. pare che ogni giovedì sera si vedano per un pokerino e una telesina tra amici; come vele usano quelle delle navi da combattimento in fiamme. che non è proprio comodissimo, ma sicuramente è molto scenografico.
partecipa anche il mio cellulare, quindi il motivo per cui non sto rispondendo né alle telefonate né agli sms non è che non mi va, che sono stanca, che ho la classica botta d’egoismo, che mi interessano solo le persone nuove perché quelle vecchie in questo momento nulla aggiungono e qualcosa tolgono e alcune di loro oltretutto si sono rivelate inutili, ridicole e mediocri, no no. è che ho il cellulare in orbita, davvero. è rimasto chiuso nell’autolavaggio della deep space 9, e ha un auricolare che gli fa contatto con la batteria, e in più gli è entrata una bruschetta betelgeusiana nel display.
va bene, lascio l’ascia. lascio l’ascia, considero la rabbia, resto immobile mentre mi passa sopra e attraverso e va via, e faccio come l’anno scorso, mi iscrivo a un corso di ubriachezza colta (esiste, eh. non si chiama esattamente così ma esiste davvero. e io mi ci iscrivo davvero), vado al cinema, qualcosa mi invento. ah, sì. mi farò cacciare dai centri commerciali e cercherò laghi di palline colorate dedicati a persone che di esami di maturità ne hanno superato solo uno. e pure con un voto basso.

sabato 14 novembre 2009

tutte le socievolezze si somigliano; ogni solitudine è sola a modo suo

se la pecora-drago avesse un cellulare, la notte la chiamerei per dirle che non mi va di andare a dormire perché non mi va di svegliarmi. la pecora-drago però non ha un cellulare, e anche in questo ha ragione lei; così oltretutto non rischia di essere svegliata da una che non ha voglia di svegliarsi.
una volta a settimana, in dormiveglia, seguo un seminario della sciamana-vichinga sul lancio delle asce metaforiche. in realtà non ho ben capito se sia metaforico il lancio o siano metaforiche le asce, e sospetto che faccia una certa differenza. sospetto anche che la differenza la notino più che altro quelli a cui arriva addosso l’ascia. la sciamana vichinga sostiene che si tratti di un percorso necessario per scaricare metaforicamente la rabbia senza farsi male. cioè, si fa finta di prendere un’ascia, si fa finta di lanciarla, dopodiché ci si può accostare con tranquillità (disarmati) alla persona con cui siamo arrabbiati. e a quel punto la si prende a calci, suppongo, non lo so; credo che mi stia sfuggendo qualcosa. per il resto sono indifferente, in alcuni periodi le persone passano nella vita in modalità avanti veloce, come sulla cassetta videoregistrata di una folla che scende da un treno.
poi ci sono anche quelli che trovano la serenità contemplando gli acquari. non specificano mai se i pesci dentro abbiano un loro ruolo in tutta questa faccenda oppure siano ormai secondari rispetto all’idea stessa di acquario. io, la serenità, no, ma se vale lo stesso, ho trovato l’errore nel gioco della settimana enigmistica: pretendere di essere perdonati da una persona innamorata di te è una cosa che, in mancanza di altre parole sicuramente più adeguate ma che al momento non mi vengono in mente, definirei sciocca.

giovedì 5 novembre 2009

traslochi

il bastone della pioggia sta chiacchierando col caleidoscopio. la poltrona verde guarda fuori dalla finestra. gatto dorme sulla poltrona rosa antico. lampada e cuscino del divano leggono. l’albero di natale nano osserva sarcastico e non favella. l’elefantino viola controlla se si intona alle pareti. direi che ci siamo tutti.
come dopo ogni trasloco, tra poco spunterà dal nulla del polistirolo che passerà le prossime settimane a crescere e moltiplicarsi.
come dopo ogni trasloco, all’inizio è tutto nuovo e rimbombante di echi e strano, e se cammini di notte al buio vai a sbattere contro spigoli che di giorno non ci sono.
come dopo ogni trasloco, casa vecchia ti manca assai e ci passerai spessissimo, nei prossimi giorni, e a volte entrerai, a volte guarderai da fuori.
come dopo ogni trasloco, e però questa è casa tua. nuova e strana e vuota e ancora scomoda e sconosciuta, ma casa. tua.

mercoledì 4 novembre 2009

(bloccata in una lunghissima, eterna sera sul lungomare di una città senza mare).