la distanza tra un gatto e l’essere umano con cui vive tende ad essere direttamente proporzionale alla temperatura esterna: d’estate, il gatto se ne sta quasi sempre in un’altra stanza con aria accaldata e scocciata; d’inverno, è pressoché impossibile appoggiarsi un attimo da qualche parte, sedersi o semplicemente stare fermi in un posto per più di mezzo secondo, senza ritrovarsi una palla di pelo ronfante in braccio. questo sensibilissimo strumento per le previsioni del tempo, che contempla un’ampia serie di comportamenti a cui corrispondono altrettante condizioni climatiche, prende il nome di gattometro; e il mio in questi giorni segnala che è in arrivo un altro calo della temperatura.
quindi stamattina ho deciso di preparare psicologicamente le piante e ho aperto la finestra per avvertirle, ma l’ho richiusa un secondo dopo e ho pensato che in fondo potevo prepararle psicologicamente anche a gesti, dietro il vetro, appoggiata al termosifone. le piante sono ancora molto depresse dall’ultima gelata e le sto curando a psicofarmaci; il risultato è che sono un po’ accasciatelle, ma ogni tanto hanno guizzi improvvisi di vitalità che impiegano per sfottere i vicini.
in compenso l’albero di natale nano, che in genere durante le feste è di umore pessimo perché detesta il natale, ha letto il commento al post precedente, “albero di natale nano for president”, e gli si sono gonfiati tutti i fiocchetti. la lampada ha la sua nuova alogena, che sono riuscita a cambiare in soli tre tentativi, la poltrona verde è appesantita dai bagordi ma tiene botta, il bastone della pioggia conduce esperimenti silenziosi sul suono della neve, l’elefantino viola gioca a carte col dio anubi, io mi sto riappropriando, a piccoli tentativi e con calma, di me stessa. siamo, più o meno, sempre noi.