domenica un’entità di probabile origine extraterrestre (ufi) si è infiltrata dentro la mia testa, e poi ha passato tre giorni a picconarmi il cranio dall’interno. oggi mi sento molto meglio, riesco addirittura a stare davanti al computer per dieci minuti consecutivi senza quella singolare sensazione di espulsione del cervello attraverso i pori del cuoio capelluto (ok, non è una bella immagine; ma quella che avevo visualizzato prima, su orbite e tappi di champagne, era peggio).
per festeggiare il fatto che riesco a stare in piedi e addirittura muovere qualche passo senza vomitare, sono uscita e sono andata dalla pecora-drago. che non c’era. al suo posto ho trovato quattro leoni bianchi, una manciata di galline e un cartello con su scritto, avevi detto che d’ora in poi te la saresti cavata da sola. ho scritto sotto, hai presente il finale di quella striscia dei peanuts in cui lucy van pelt dichiara al mondo, io sono mia? ecco.
poi, mentre strisciavo attraverso il parchetto dello spaccio per rinnovare le scorte di yogurt al limone e aspirina, mi sono trovata davanti lo spirito di tochiro oyama. gli ho chiesto la sua opinione riguardo quella faccenda dello stare seduti sulla riva del fiume aspettando che passi il cadavere del proprio nemico. mi ha detto che innanzitutto è un ambiente un po’ umido; che il problema non sono tanto i cadaveri che hai di fronte quanto i vivi che hai alle spalle; e che almeno, se proprio non ho niente di più interessante da fare, mi conviene preparare una buona scorta di sake. ho chiesto se il whisky va bene uguale. comunque, ho deciso che è meglio se mi siedo sulla riva del mare, senza aspettare alcunché.