come lo quantificano, un
buongiorno. come danno valore a una voce. come lo calcolano, l’inizio di ogni
giornata. quanto vale la mattina.
aveva pianto. per due settimane.
aveva anche vissuto, in qualche modo. aveva parlato, fatto la spesa, pranzato
con i suoi amici, piangendo. lacrimando, più che altro. si chiedeva se quel
modo di dire, piangere tutte le proprie lacrime, avesse un senso, perché le sue
non finivano.
la crepa l’aveva vista. la voce
che cambiava, lo sguardo che sfuggiva. si era detta, una fase, poi passa. e
invece la crepa si era allargata, e alla fine tutto si era rotto. si erano
rotti due anni, senza lasciare cocci da raccogliere. nessun pezzo abbastanza
grande da cercare di riattaccarlo. l’ultima immagine che aveva di lui, di
spalle, mentre usciva dal cancello del parco. si erano visti per l’ultima
volta, per stabilire, dividere, finire. poi lei era rimasta tra gli alberi, e
lui era andato via, con quel suo cappotto strano, leggermente incurvato sotto
il peso di due anni cancellati e degli ultimi minuti di recriminazioni, accuse,
rimpianti.
era la prima voce che sentiva la
mattina. avesse dovuto dare un senso a tutto, descrivere il loro rapporto in
qualche modo, avrebbe detto, il buongiorno. che si dicevano proprio buongiorno,
non ciao, o altro, no, avevano il loro buongiorno, in un tono particolare,
codificato.
aveva appena lasciato il suo
lavoro. avevano un progetto insieme, loro due. e invece niente. niente vecchio
lavoro, niente nuovo progetto. aveva pianto, finché si era fermata e si era
guardata attorno. e si era resa conto che non aveva un lavoro, non aveva un
soldo, non un passato, non un presente, non un futuro. assolutamente nulla. il
nulla è così strano da guardare che a suo modo è affascinante. si era persa a
contemplare le macerie già ridotte a sabbia della sua vita. incantata
dall’assoluto niente che la circondava. e si era resa conto che non era
spaventata. era un vuoto che le toglieva anche le lacrime. le toglieva la
paura. le toglieva tutto. la liberava.
non aveva nessun legame. poteva
fare quello che voleva, perché non c’era niente da riprendere, niente da
continuare, niente da perdere. poteva andare a vivere in giappone, poteva fare
l’astronauta. non aveva niente, poteva tutto. libera. si era seduta in mezzo al
nulla e si era detta, scegli, decidi, ma senza logica, a istinto. chiudi gli
occhi e quello che vedi, quello sarà. aveva chiuso gli occhi, e quello che
aveva visto, la prima immagine che le era venuta addosso, era uno sguardo di
nove anni prima.
e aveva sorriso, pensando, follia
pura. aveva passato la notte a scrivere. aveva telefonato, di prima mattina,
alla grande azienda dinosauro. aveva detto buongiorno, a loro. aveva spiegato
che doveva contattare il genio, si era qualificata, le avevano dato il numero
della segreteria del suo ufficio. aveva chiamato, le aveva risposto la
segretaria. aveva detto buongiorno di nuovo, aveva spiegato, ho un progetto da
proporre. poi aveva richiamato, qualche giorno dopo, e la segretaria le aveva
detto, il genio ha visto il progetto, è entusiasta, ma questo è un periodo così
pieno, ora proprio non può vederti, richiama la settimana prossima. e lei aveva
richiamato. e la segretaria le aveva di nuovo detto, vuole vederti, ma è un
periodaccio, richiama. e lei aveva richiamato. ogni settimana. per due mesi e
tre settimane.
finché una mattina, passeggiava
in camera da letto con le cuffie dell’ipod nelle orecchie, ascoltava una
canzone che diceva non ha più senso pensarti capire provare o sparire, e
all’improvviso aveva sentito qualcosa cambiare. si era voltata, aveva visto il
cellulare illuminarsi. aveva spento l’ipod, si era tolta le cuffie, aveva
ascoltato gli squilli, aveva guardato il numero sul display, un numero di
cellulare che non conosceva. aveva seguito il suo cuore rallentare, fermarsi e
poi correre. lo sapeva, chi era. prima ancora di rispondere, prima ancora di
sentire la sua voce che per la prima volta parlava a lei, che diceva
semplicemente il suo nome e cognome, presentandosi come uno qualsiasi, dandole
del lei, fissandole un appuntamento per un colloquio di lì a due giorni. lo
sapeva. perché, genio, non sei l’unico, qui, che ha una certa come dire
telepatia.
2 commenti:
Quindi si esce dal nulla di una storia spezzata... così?
Speriamo.
che fai, contatti un genio anche tu?
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