lunedì 22 novembre 2010

l’anno inizia quando si vuole e finisce quando vuole lui

io ho sempre detto che l’anno nuovo inizia quando si vuole che inizi, ed è vero. però c’è anche un’altra caratteristica da tenere presente quando si ha a che fare con gli anni, e cioè che l’anno finisce quando decide lui. senza avvertire, senza preoccuparsi, senza lasciare il tempo di abituarsi all’idea.
a me, oggi, è finito l’anno. è finito intorno a mezzogiorno, il che conferma la predilezione forse scaramantica degli anni per il numero dodici. è finito senza fuochi artificiali e senza botti, a parte quello che mi è esploso molto silenziosamente dietro lo sterno. poi potrei dire che un po’, una qualche parte di me che peraltro non ha ritenuto opportuno avvertirmi, l’aveva capito, perché stamattina mi sono tagliata i capelli, non tantissimo, una quindicina di centimetri, sono ancora più lunghi che corti, però sono diversi; e poi ho messo una gonna, e io le gonne non le metto mai, e poi ho messo gli stivali con i tacchi da dieci, e io i tacchi non li metto mai; e mi sono anche truccata, e quella non è stata una grande idea perché a me gli anni quando finiscono mi commuovono parecchio. e già la settimana scorsa determinate azioni erano state compiute e determinate decisioni prese. e insomma, in qualche modo lo sapevo, chiamiamolo intuito femminile, chiamiamolo esperienza, competenza e professionalità nel settore fine&affini.
poi niente, quando ti finisce un anno non è che puoi farci molto, è finito. puoi piangere un po’ se comunque hai quell’indole e anche un’età per cui hai finalmente smesso di rimproverarti ogni volta che piangi. puoi andare in libreria, puoi anche andare in ben due librerie, ma poi ti guardi intorno e sei circondata da libri ma non ce n’è nessuno che vada bene per un anno che è finito così, all’improvviso. puoi guardare la pioggia col sole e ricordarti che un anno che finisce vuol dire che un altro sta iniziando. puoi pensare a una cosa che farai, tra qualche giorno, per salutare l’anno finito e l’anno nuovo, e sorridere perché è una bella cosa. puoi andare a comprare una bottiglia di uno dei tuoi vini preferiti, perché ci sta. puoi anche sorridere e contemporaneamente piangere, anche per tutto il giorno, perché se lo può fare il cielo lo puoi fare anche tu.

giovedì 11 novembre 2010

bit?

c’erano questi due computer, uno stava a milano, uno a roma. lavoravano entrambi tutto il giorno, e lavoravano tanto. alcuni computer dicevano che quello era un mestiere duro ma era sempre meglio che lavorare; altri computer pensavano che lavorare in quell’ambito, l’arte, la cultura, non era mica lavorare. non era mica lavorare un paio di megabyte, avrebbero risposto quei due computer lì.
comunque, quei due computer stavano a schermo chino e lavoravano, e ogni tanto interagivano fra loro. il computer di roma a volte aveva bisogno di dati e li chiedeva al computer di milano, in formale e rigido computerese. il computer di milano, in formale e rigido computerese, rispondeva efficiente e preciso. poi magari non si scambiavano dati per un po’ di tempo, poi al computer di roma servivano altri dati, o al computer di milano serviva che il computer di roma trasmettesse dei dati nuovi, e allora si scrivevano, sempre in formale e rigido computerese.
finché un giorno, al termine di un puntuale ed efficiente scambio di dati, il computer di milano scrisse, salutami roma.
il computer di roma pensò, bit? (“bit?” esprime perplessità computera mista a stupore).
il computer di roma lasciò passare un’ora, continuando a lavorare. ma ogni tanto tornava a pensare, bit? è che, se già in generale non si sarebbe aspettato una deroga da certo formale e rigido computerese culturale (i computeri culturali sono i più formali e rigidi in assoluto, altro che megabyte), tantomeno avrebbe potuto aspettarselo da un computer di milano. tra i computer di roma giravano certi luoghi comuni, sulle schede madri dei computer di milano.
il computer di roma terminò il suo lavoro. lasciò passare un’altra mezz’ora, che spese a chiedersi se il computer di milano in realtà fosse pazzo. non si sa mai, magari un virus. alla fine il computer di roma alzò lo schermo verso la finestra, guardò fuori, formulò, ciao, roma. poi rispose al computer di milano.
questa non è una storia d’amore fra computer di roma e di milano. magari nemmeno diventeranno amici, né si incontreranno mai o che. è solo la storia di un umanissimo, computerissimo “bit?”.

lunedì 8 novembre 2010

grazie, penelope

negli ultimi tempi ho scritto poco non perché sia stata particolarmente impegnata a vivere, come a volte mi capita di leggere qua e là; ma più che altro il contrario. essere particolarmente impegnati a vivere il meno possibile è una faccenda molto complicata che richiede un sacco di attenzione, cautele ed energia. ti distrai un attimo e succedono certi casini. tipo, per dire, va bene che li amo (soprattutto rocco). di un amore totale, da cassonetto differenziato a vite bruciacchiate. mapperò, fino a poco tempo fa, io ero forse l’unica persona sul pianeta terra a non aver mai sentito il waka waka. e ci tenevo abbastanza, a questo record. e ora l’ho perso, per colpa dell’afrika. che poi è una delle ultime cose che ho sentito, prima che mi tornasse l’otite, in una nuova e battagliera versione impegnata: l’orecchio destro fa un casino assurdo, quello sinistro passa da un monotono ronzio vibrante sempre uguale al nulla. più che un’otite, un commento politico.
per il resto, sono stata impegnata a discutere con il mio rappresentante sindacale, il dio anubi. la mia linea d’azione era, rassegniamoci a una comoda, per quanto magari un po’ lenta, morte per inedia. lui insisteva con quella faccenda del pesare il cuore, la piuma e tutto il resto. crede davvero di riuscire a trovarlo, un cuore, da qualche parte; come rappresentante sindacale mi è capitato l’ultimo dei romantici.
però poi è successa una cosa bellissima, che ci terrei a raccontare in particolare al signor bandini: il reparto entropia, che stava per essere smantellato, è insorto. ed è insorto nella figura di penelope 1, la mia personalissima penelope, quella che ha sempre fatto sì che con i bonus bestemmie annuali io andassi fuori con l’accuso già tipo a febbraio. penelope 1 resta. e io, che all’idea di essere privata di penelope 1 mi stavo spegnendo, ed ero già lì pronta con la scatola di cartone a portare via le mie cose, ebbene, quando ho saputo che penelope 1 restava ed era pronta a dare battaglia, e a rendermi quindi la vita ancora più impossibile che finora s’è solo scherzato signora mia, io sono risorta. finché penelope 1 resiste, resisto anch’io.
forza, penelope.