lunedì 23 dicembre 2013

domenica 24 novembre 2013

the man who regrets, the man who forgets

vede, mr davies, il punto è che il dottore è solo.
non che è un guerriero, non che è un eroe, e nemmeno che è un dottore. che è solo. è per questo che il mio preferito è il decimo dottore. perché, fra tutti, è il più triste, solitario y final. è il più ironico, perché è il più triste. è il più amato, perché è il più solo. e non vuole andare via, perché è final.
doctor who ha compiuto cinquant'anni, per quanto il decimo dottore abbia più di novecento anni, l'undicesimo ne abbia aggiunti quattrocento, e probabilmente i signori del tempo guardano con un certo scetticismo agli anniversari. in cinquant'anni non è cambiato nulla, ed è giusto così. il tardis è sempre una cabina telefonica della polizia di un secolo fa. i dalek sono sempre i dalek. altre serie sci-fi hanno scelto di evolversi: in star trek tng non ci sono più le cose buffe, colorate e ingenue che dovevano simulare la tecnologia futuristica della serie classica, star trek tos. in doctor who è stato scelto di non cambiare i dalek di un millimetro, di mantenerli identici a come erano stati realizzati cinquant'anni fa. quindi, la più grande minaccia di tutti i tempi è tuttora rappresentata da cosi che sembrano un ibrido tra i prototipi di aspirapolvere che iniziarono a diffondersi in epoca vittoriana, e una brutta copia di r2d2 traumatizzato a martellate da piccolo. ed è perfetto così.
il dottore è l'unico della sua specie. anche il maestro se n'è andato. il punto non è se gallifrey l'abbia distrutto o no lui. va bene, the man who regrets. ma anche con l'espediente del farglielo dimenticare, ce lo ricordiamo noi. noi lo sappiamo. noi sappiamo che è l'ultimo. e noi sappiamo cosa succede quando muore l'ultimo time lord. c'è una certa differenza, ne converrà, fra avere un'unica speranza, e averne un pianeta pieno, in freezer.
ma, vede, in fondo non è nemmeno la speranza, il punto. è proprio la mancanza di speranza. la consapevolezza di essere solo, la consapevolezza di essere unico. la consapevolezza di essere ultimo. la speranza senza speranza, la speranza disperata. questo era il decimo dottore. questo è il dottore. questo è amare il dottore. questo, in fondo, è amare. sperare senza speranza.

lunedì 28 ottobre 2013

gli spietati salgono sul treno e non ritornano mai più (baustelle)

quanto siamo stati didascalici, nell'essere noi stessi. quanto abbiamo vissuto nei più ovvi dei romanzi e dei film, nel nostro esserci tanto amati, violentati, deturpati, torturati, maltrattati, malmenati, scritti lettere, lo sappiamo. 
quanto siamo stati fedeli a noi stessi, e solo a noi stessi, nel nostro essere e fare solo ciò che potevamo essere e fare, nel nostro essere stati e aver fatto di tutto. quanto siamo stati lineari e prevedibili. 
quando quello di noi tre che ha sempre scelto la fuga, guardare la vita, leggerla, fotografarla, e mai viverla, è stato il primo a fuggire, a mettere un oceano in mezzo, più lontano degli dei. quando quello di noi tre che ha sempre e solo vissuto per se stesso, e non ha mai visto altro che sé, e non ha mai voluto altro che manipolare gli altri verso di sé, ha fatto a brandelli la sua anima e ne ha venduto i pezzi agli squali e ha avuto in cambio i loro occhi. quando quella di noi tre che è stata la prima a salire su un treno e l'ultima che al binario ha detto addio, ha continuato i suoi viaggi irrisolti, ha gettato via il film della russia, non è migliorata con l'età.
non ci siamo regalati storie e macchine fotografiche e telefoni, non ci siamo spediti libri, non ci siamo costruiti anelli, non ci siamo scritti ancora e ancora e ancora, e l'abbiamo fatto, abbiamo fatto tutto.
abbiamo vissuto in tre continenti diversi e nella stessa casa, ci siamo detti addio alla stazione, falliti antichi innamorati eroi, siamo tornati nelle nostre città di nascosto, senza dircelo, abbiamo camminato sugli stessi marciapiedi senza vederci, ci siamo persi e ritrovati. e ora sono di nuovo passati sei anni. a saperlo spiegare, che filosofi saremmo.

domenica 20 ottobre 2013

questa casa non è un albergo per spiriti guida

noi si era tutti alle prese con le nuove abitudini dettate da her ladyship, che comunque sono anche abbastanza singolari. per dire, qui nessuno cucina francese. neanche inglese. a dire il vero, qui spesso nessuno cucina. cioè, a fare un cottage pie ci arriviamo pure, il problema è che her ladyship, da aristocratica di età edoardiana, non ha idea di cosa sia quella roba, e gradirebbe sapere quando intendiamo servire le quaglie in aspic. la risposta sarebbe, più o meno mai, ma la stiamo dissimulando bene. insomma, noi si stava tutti qui (più che altro io e la poltrona verde) a studiare il libro di ricette di mrs. bridges, la parte upstairs per her ladyship e la parte downstairs per noi, quando all'improvviso è arrivato un altro spirito guida. che, voglio dire, passi uno, che tanto il grande spirito del bradipo non è che si noti poi molto; passi due, che comunque avere a che fare con her ladyship è anche divertente; ma tre, mi sembra che si stia esagerando. soprattutto considerando il fatto che questo è sì uno spirito guida, ma non ci riguarda. è lo spirito guida di qualcun altro, che si è momentaneamente parcheggiato qui perché il qualcun altro non se lo fila per niente.
comunque, paglia è arrivato l'altra notte. lo chiamiamo paglia perché, appena è comparso, ha declamato, devi andare a milano e comprare un pagliaccetto. mostrando la foto di un paio di doposci. ho cercato di spiegargli la sostanziale differenza fra un pagliaccetto e dei doposci (ho sorvolato sul fatto che andare a fare shopping a milano non è il massimo della comodità), ma lui insiste che i doposci si chiamano pagliaccetto. quindi ora lo chiamiamo pagliaccetto, abbreviato in paglia su suggerimento del grande spirito del bradipo, che con i nomi troppo lunghi si stanca; o anche, mr. paglia, come dice her ladyship.
paglia è molto depresso. il tipo a cui dovrebbe fare da spirito guida, quando gli si è manifestato, gli ha risposto, testuali parole, che lui non esiste (lui paglia, non lui il tizio che dovrebbe accollarsi paglia). e ha poi aggiunto che avrebbe persino dimenticato di averlo visto, poiché la memoria di certi eventi deve scorrere via come la corrente di un fiume. a questo punto del racconto, mentre paglia scuoteva la testa sconsolato, l'albero di natale nano è scoppiato a ridere, il bastone della pioggia ha sbuffato con discrezione, e la poltrona verde ha replicato: e tu non gli hai risposto, ma che minchia dici?
quindi, niente, paglia per ora resta qui. è stato deciso dall'assemblea del soggiorno, presenti mobilia varia, tre spiriti guida, un unicorno rosa, un elefantino viola, il dio anubi che si è astenuto perché non si intromette nelle faccende dei mortali almeno finché non sono morti, e gatto che però dormiva, che il mio compito è recuperare il tizio a cui paglia dovrebbe fare da spirito guida, e convincerlo a collaborare. sinceramente, io lo capisco pure, qualcuno che non vuole uno spirito guida incapace di distinguere un pagliaccetto da un paio di doposci. però mi dispiace per paglia. e comunque questa casa non è un albergo per spiriti guida. anche perché stanno tutti qui gratis.

lunedì 14 ottobre 2013

my sweet lady (s.)

per una serie di circostanze un po' lunghe da spiegare, al mio spirito guida tradizionale, il grande spirito del bradipo, si è aggiunta una nobildonna inglese dell'età edoardiana, affondata all'incirca un secolo fa (a età edoardiana già finita, a dire il vero, anche se a volte l'età edoardiana la fanno tirare in lungo fino a tutta la grande guerra, suppongo per pigrizia; ma del resto lei la maggior parte della sua vita l'aveva vissuta in epoca vittoriana, e quindi, perché la si definisce una nobildonna di età edoardiana? non ne ho idea e oggi non concorro alla scrittura fra parentesi più lunga della storia, quindi va bene così, è di età edoardiana) appresso a un transatlantico. chi stesse pensando, quel transatlantico, non troverà tracce di her ladyship nella lista passeggeri, quindi o è affondata in una realtà parallela, o ha attuato qualche trucchetto da spirito guida.
che poi una tirerebbe a pensare che il grande spirito del bradipo e her ladyship siano leggermente in contrasto, come spiriti guida, ma a ben vedere, mica tanto. grande spirito del bradipo tende a non fare assolutamente niente; her ladyship tende a non fare assolutamente niente di utile o sensato, con stile molto british e upper class. le conseguenze a livello pratico sono che adesso, quando combino qualche disastro, sfoggio una certa eleganza.
una certa apprezzabile eleganza. perché ho scoperto che quando sfodero il verbo apprezzare ispirata da her ladyship, creo una discreta apprensione nell'uditorio. ho anche scoperto che sono diventata lievemente meno inadeguata nel gestire i rapporti sociali, e sono addirittura in grado di fare battute ironiche esattamente nel momento in cui vanno fatte e con l'intensità giusta (cioè, facendomi odiare molto meno, da molta meno gente. di tanto in tanto vengo addirittura apprezzata).
il fatto che io applichi gli insegnamenti di her ladyship perlopiù in pieno quartiere-paese, in posti come il mercato, la tabaccheria o l'ufficio postale, rende il tutto lievemente surreale, forse. ma non molto di più di quando sto in balcone a parlare con il dio anubi dei fiori carciofo del cactus antenna (il dio anubi non è uno spirito guida, è un dio. ci tiene a sottolineare la differenza). ho il sospetto che il bastone della pioggia abbia un debole per her ladyship, è da un po' che ha preso l'abitudine di canticchiare da solo all'improvviso, il che peraltro ci turba tutti parecchio. l'albero di natale nano ovviamente no, per quanto adesso tende a rivolgersi a me usando un my lady che sarebbe anche corretto, se non suonasse così sarcastico.
quanto agli altri, alla poltrona verde piace molto questa nuova abitudine di prendere il tè tutti insieme alle cinque, discute di filosofia con il cuscino del divano, la lampada e la cyclette attaccapanni, e medita di diventare la più grande cuoca di londra; mentre io e l'elefantino viola abbiamo deciso che in questo periodo ci piace molto il numero 11, e abbiamo i nostri validissimi motivi.

lunedì 7 ottobre 2013

we will we will rock you - 5

nel 1995 realizzò un capolavoro. è tuttora tentata di definirla una performance artistica. mentre trascinare un uomo a un concerto (a un "buon" concerto, per gli standard maschili di "buon") è piuttosto facile, trascinarci tre donne è alquanto complicato. riuscire a trascinare un gruppetto di amiche a un concerto di un cantautore romano a loro sconosciuto, perché suonava un chitarrista a loro sconosciuto, di un gruppo musicale a loro sconosciuto, è arte. quell'estate lì lei ammassò sotto un palco, per quanto un po' a fatica, una triade di signorine che a fine serata commentarono, ma cos'era quella cosa che suonava? la chitarra. no, quell'altra, quella che la rigirava e faceva un suono strano.
il 1996 fu un anno spettacolare. sarà che a vent'anni è tutto ancora intero, a vent'anni è tutto chi lo sa, o al limite sarà che si è stupidi davvero; ma per tre anni la gioia volò con facilità. poi crollò all'improvviso, quell'universo lì implose, e fu, in un certo senso, la fine dell'età dell'innocenza, un po' per tutti. ma nel febbraio del '96 lei parlò al telefono con il suo preferito, unico strappo alla regola che si era imposta, di non avere mai a che fare realmente con loro. poi li vide vincere arrivando secondi. poi uscì l'album a cui sarebbe rimasta più affezionata. poi tornarono sul palco del primo maggio, e stavolta ci restarono su fino alla fine, il che rispetto a cinque anni prima fu un netto miglioramento. nei due anni successivi ci fu di tutto, concerti, album, tour in america, esibizioni con artisti di cui si era fan without liver. quello che di più bello poteva succedere, successe.
e nel suo, nel loro modo di essere fan, quella generazione di adolescenti cresciuta senza alcuna serietà, senza che la parola genio venisse ripetuta ogni cinque minuti, quando con la sua migliore amica li guardavano e pensavano che erano così piccoli, in fondo, nonostante il più giovane avesse dieci anni più di loro, quando non c'era alcuna venerazione, ma solo affetto, alcuna rincorsa alla citazione perfetta, ma solo cazzeggio, questa fu per molto tempo l'unica consolazione. che era stato tutto bellissimo.

mercoledì 25 settembre 2013

ellis island

c'è una foto splendida che tengo su uno scaffale davanti alla scrivania. è in bianco e nero, ritrae un uomo e una donna nel giorno delle loro nozze. il matrimonio è stato celebrato in una qualche chiesa di brooklyn, new york, in un qualche momento prima della seconda guerra mondiale. sono entrambi bellissimi. lui è un irlandese di cui non ho mai saputo il nome; lei è un'americana che ha lo stesso nome e lo stesso cognome di mia nonna, poiché è sua cugina. un'italiana nata in america.
sono andata a cercare il nome del prozio nel sito su ellis island.
ho trovato lui, e il fratello che è tornato. quello che non è mai partito, che ha deciso di rimanere in questo paese, è morto giovanissimo. 
una cascata di rose su un abito bianco, una cascata di stoffa sul pavimento, gli sposi che guardano verso sinistra, sorridono, entrambi cittadini di un mondo diventato loro. 
i prozii partirono prima che scoppiasse la grande guerra. partirono perché la fame, perché la povertà, perché questo paese non era più un mondo per loro. perché, meglio la traversata di un oceano, ed ellis island, e un universo sconosciuto, che la gabbia priva di sogni dov'erano imprigionati da uomini liberi.
sono gli stessi identici anni, solo, un secolo dopo. ma proprio gli stessi, identici, anni.

lunedì 9 settembre 2013

nei film?

nei film, alla fine, quelle come me si innamorano di quelli come te (quelli come te sono già innamorati di quelle come me dalla prima scena). poi non si sa mica quello che succede, che il film finisce lì. prima o poi magari lo scopro.

giovedì 5 settembre 2013

dell'inutilità irreversibile del tempo

prendere tempo. perdere tempo. o della meraviglia dei suoni simili.
volevo scrivere che da quando ho letto 1602, sono convinta che daredevil sia il preferito anche di neil gaiman. volevo scrivere delle notti passate a bere vino e creare in inglese, e delle mattine passate a bere caffè, e tentare di dare la lucidità del caffè all'entusiasmo del vino.
ma sono anch'io ormai convinta da molte lune dell'inutilità irreversibile del tempo. chi vuole prendere tempo, perda il suo. prendere e perdere, perdere e prendere. nessuna altra chance.
se siete in trappola, non importa se siete ostaggio di voi stessi o di un'altra persona.
se siete incapaci di trovare, nel grande romanzo del vocabolario italiano, il capitolo sulla d con quel meraviglioso paragrafo che parla di dignità, il capitolo sulla r con quel meraviglioso paragrafo che parla di rispetto, non importa di chi abbiate perso la stima e la fiducia.
grazie per quello che ho imparato da sola. per il coraggio, per la leggerezza con cui vedo i giganti sulla mia linea dell'orizzonte, e li considero mulini a vento. grazie per lo spazio. ma il tempo è mio.

lunedì 19 agosto 2013

di marco pierre white, mensa da college e cricket bat

nell'estate del 1989 marco pierre white e io eravamo entrambi a londra. lui scriveva la storia della cucina inglese in un ristorante chiamato harveys, primo inglese e più giovane three michelin starred chef ever; io la cucina inglese la mangiavo, nella mensa di un college a moor park, per strada, ovunque mi capitasse. tranne che da harveys: i miei genitori non mi avevano dato abbastanza soldi nemmeno per telefonare (e mi ricordo memorabili conversazioni con estenuati centralinisti inglesi per fare chiamate a carico del destinatario), figuriamoci per mangiare in un ristorante addobbato di stelle michelin come un albero di natale.
comunque all'epoca avevo tredici anni, non avevo idea di chi fosse marco pierre white, e quindi non ci ho sofferto molto. la mensa del college a moor park mi andava benissimo, così come tutto lo street food che riuscivo a raccattare con gli spicci avanzati dal biglietto della metro. in effetti, di quel variegato gruppo di un centinaio di minorenni italiani, lasciati sciamare liberamente per londra, io ero l'unica a cui la mensa del college andasse benissimo. non è che mi accontentavo: è che proprio mi piaceva. mi piaceva il cibo inglese. mi piaceva fare colazione con roba che normalmente neanche a pranzo, mi piacevano i dolci, mi piaceva tutto. e non era solo il cibo. mi piaceva l'architettura, mi piacevano i vestiti, mi piacevano i cappelli, l'atteggiamento, la fila. mi piaceva proprio, davvero, tutto. era la prima volta nella mia vita che andavo all'estero, la prima volta che viaggiavo senza la mia famiglia, la prima volta che prendevo un aereo, la prima volta di un bel po' di cose. ed era tutto spettacolare.
qualche giorno fa, alla fine della terza bottiglia di vino, con tutte le facoltà mentali, compresa quella destinata all'uso della lingua inglese, parecchio ottenebrate, ho cercato di articolare a un po' di inglesi, tra cui una cuoca, perché, in my opinion, paragonare marco pierre white a tutti quelli che sono venuti subito dopo e oggi sono strafamosi, da gordon ramsay a heston blumenthal a etc etc, è impossibile. credo di aver declamato una frase che suonava più o meno così: you can not compare some chef with a revolutionary man; you can not compare interesting, but mere consequential effects, with the only one original cause. che in qualche modo tra ubriachi aveva un senso, davvero.
quell'estate lì è stata l'ultima da preadolescente. quel cibo lì ha chiuso una parentesi. la cucina della mia infanzia è iniziata siciliana, è continuata romana, è finita inglese. dice lo chef che a tree without roots is just a piece of wood; (a cricket bat with roots is only a tree, aggiunge il saggio). io al momento non ho più radici da nessuna parte, e magari sarà per questo che non mangio più un granché. se qualcuno lo conosce, cortesemente, gli chieda cos'è qualcosa between a tree and a cricket bat, anche se presumo che la risposta sia, solo un inutile e incompiuto semilavorato.
(p.s. e gli chieda anche dove trova quelle assurde scarpe a scacchi: le adoro).

venerdì 9 agosto 2013

we will we will rock you - 4

nel 1993, occupata com'era ad avere diciassette anni e a sottovalutare per la prima volta le conseguenze dell'amore, non trovò moltissimo tempo da dedicare all'uscita di edmcehmp. anni dopo scoprì che non era stata l'unica, quindi, o il 1993 fu un anno complicato per tutti, o quell'album ebbe qualche problema di promozione. per dire, lei il 1993 l'aveva iniziato organizzando una festa di capodanno a casa sua, durante la quale la sua migliore amica, quella che aveva tutto patè d'animo, si era messa col tipo che piaceva a lei. che, più che uscire dal suo corpo e avere molta paura, avrebbe volentieri messo molta paura a loro. in effetti poi lo fece, ma questo non migliorò la situazione; fu lì che imparò che le cose, una volta che sono successe, pazienza, e che invece che uscire dal proprio corpo si fa prima a uscire dalle vite altrui, senza avere paura e senza stare a darci troppo peso. quell'estate la passò a malta, a far finta di studiare inglese, ubriacarsi tutte le sere e chiedere a ripetizione a uno stressatissimo dj di st. julian di mettere su with or without you degli u2. fosse tornata in romagna ad ascoltare coi suoi amici nordici gli eelst, magari l'avrebbe presa meglio. sicuramente l'avrebbe presa meglio il dj di st. julian.
poi le successe di compiere diciotto anni e diventare maggiorenne, il che in genere comporta studiare per la patente, e studiare per l'esame di maturità. fu esattamente quello che non stava facendo, nel marzo del 1994, quando una trasmissione televisiva influì in maniera definitiva sul suo eelst preferito. fino a quel momento si era mantenuta equidistante; ma un pomeriggio in cui in teoria si sarebbe dovuta ripassare la segnaletica verticale e una tragedia di euripide, e in pratica come al solito stava piazzata davanti a videomusic, il gruppo di telekommando bussò alla porta di una casa di milano. per inciso, sul campanello al posto del nome del tastiere c'era la scritta, "benedetta è la mano che dà il pane agli orfanelli". sempre per inciso, a oggi della segnaletica verticale lei riconosce più o meno il divieto di sosta e lo stop, e della tragedia di euripide che portò all'esame non si ricorda nemmeno il titolo. le diedero sia la patente sia la maturità, il che dà un'idea di che razza di diplomati guidino in questo paese. negli anni le rimase, di quella settimana passata a non studiare, l'abitudine, ogni volta che qualcuno la indicava come "la mente" di qualcosa, di definirsi "il lamento" di qualcosa; l'emozione di aver sentito i messaggi originali in segreteria telefonica di nasty sciura; la netta predilezione per il pianolista.
all'esame di maturità portò greco come prima materia e storia come seconda. fece un gran bell'esame, che le valse 49/60 (unico 49 in tutta la scuola, e unico 49 di cui abbia mai sentito, in qualsiasi scuola), a significarle che aver fatto un gran bell'esame non la riscattava da cinque anni passati ad ascoltare musica e guardare pianolisti in tv. poi ci furono i mondiali di calcio americani, in cui lei ripose sicuramente più interesse del marito di lorena bobbit. poi andò a parigi per un mese. poi tornò, e iniziò a lavorare. poi si iscrisse all'università. e andando a lezione la mattina, e a lavoro il pomeriggio, fu sfiorata per la prima volta dal vago sospetto che quella faccenda della maturità, in effetti, stava iniziando solo adesso, e non sarebbe stata facile quanto una dimenticata tragedia di euripide.

giovedì 8 agosto 2013

talk baby talk - day 9, 10, 11

causa avverse condizioni climatiche, con booster siamo passate dal running al walking, e dal walking al talking. è una pratica inspiegabilmente non riconosciuta come attività sportiva, che consiste nel fare qualche metro trotterellando, rendersi conto che non ce la si può fare, optare per la camminata veloce, rallentare progressivamente e iniziare a raccontarsi gli ultimi pettegolezzi sulla strana coppia che ha appena traslocato nel palazzo d'angolo. di questo passo, a ottobre, più che alla deejayten, ci iscriveremo alla radioserva-e-poi-hai-saputo-che.
io oltretutto ho i crampi, che fa molto sportivo serio. prima che qualche anima bella mi scriva tutta una serie di mail ispirate su stretching e riscaldamento, vorrei chiarire che ho i crampi da ferma: mi vengono  a casa mentre mi preparo il caffè, o dopo aver steso il bucato, o mentre riguardo the it crowd o black books, che mi mancano tanto (pare che io abbia un debole per le serie ambientate a londra con protagonista un irlandese). non so se avete un programma di stretching da fare prima di preparare la moka, in caso lo aspetto con trepidazione.
comunque non ci limitiamo a spettegolare, durante i nostri cinque chilometri di ex run ex walk ora talk baby talk. io elargisco ricette per pasta zucchine e filetti di sgombro, lei mi racconta di quando in quella strada a destra non osavano entrarci nemmeno le macchine della polizia (booster è autoctona del quartiere-paese, io sono arrivata pochi anni fa, quando già aveva iniziato ad assomigliare a un posto più o meno civilizzato), insieme osserviamo l'umanità varia che ci circonda.
è un'umanità da borgata stanziale, mista ai nuovi complessi residenziali per professionisti, con una percentuale di immigrati altissima. un'umanità molto umana. un'umanità letteraria, a cui non devono aver detto che pasolini è morto, perché a volte sembra di girare per le baracche del dopoguerra del tiburtino; un'umanità cinematografica, qui dove per cinema si intende scola, in cui c'eravamo tanto amati riesce a fondersi con la terrazza; un'umanità in cui alla fine del mese o non ci si è arrivati mai o ci si arriva sempre e comunque, perché le vie di mezzo non sono contemplate. e noi la tagliamo per cinque chilometri ogni volta, come in un lunghissimo piano sequenza, come se non ne facessimo parte, come se fossimo i narratori onniscienti di quella che invece non è altro che una collettiva autobiografia.

lunedì 5 agosto 2013

cinopoli

il dio anubi e io osserviamo le piante in terrazzo. alle piante non piace moltissimo essere avvicinate dal dio anubi, ho l'impressione che lo identifichino un po' col triste mietitore di discworld, ma le ho rassicurate: anubi dalle sue parti è disoccupato da quando gli è stato preferito il tipo solare con la moglie disinvolta, e si limita a passare le giornate da me giocando a carte con l'elefantino viola e discutendo telepaticamente di filosofia col bastone della pioggia e con l'albero di natale nano. il giorno che vedranno avvicinarsi una pianta in vaso con un mantello nero, una falce appoggiata a un ramo, che parla in maiuscoletto, beh, quello sarà il momento di preoccuparsi.
il cactus antenna sta facendo i carciofi (avete presente quei cactus che fanno i fiori molto raramente, tipo due volte in quindici anni, ma quando li fanno sono bellissimi, di una bellezza sconvolgente e travolgente e indimenticabile? ecco, il cactus antenna fa i fiori molto raramente, tipo questa è la seconda volta in quindici anni, e sembrano carciofi di quelli che te li vendono a 0.29 l'uno ma a trattare te li regalano pure, basta che te li porti via); la fragolina aliena imperialista ha emesso uno spunzone rosa, che si aggira per il terrazzo con aria perplessa, tipo, ma siamo sicuri che vogliamo invadere un pianeta così dannatamente caldo?; gerundio presente e participio presente, i gerani, tengono botta; ma sono un po' preoccupata per le belle di notte. 
bocca di rosa e via del campo hanno un'aria seccatissima; crêuza e de mä le guardano con la tipica espressione, non fidarti mai di chi ha più di trenta mesi; non al denaro cresce bene, non all'amore anche, né al cielo invece sembra un po' demotivata; quando in anticipo e sul tuo stupore vanno travasate, del nostro amore fa i capricci, verranno a chiederti ha un'aria estenuata. informo anubi che per oggi sono previsti 44 gradi di temperatura percepita, e aggiungo, canicola, in un tono più da blasfemia che da previsioni del tempo. anubi assume un'espressione soddisfatta, tipo, io vengo da posti ben più torridi, in questo caldo ci sguazzo. poi scendo a controllare la posta, e quando guardo in su lo vedo sul terrazzo che agita il bastone della pioggia. 

giovedì 1 agosto 2013

get back

ho chiesto a un esperto del settore perché da me gli uomini prima o poi tornano sempre (qualsiasi ruolo abbiano interpretato precedentemente, da amico a ex a poteva essere non è stato ma forse sarà), mentre da tutte le altre donne che conosco non tornano mai. l'esperto del settore mi ha risposto che prima o poi tutti ripensiamo al passato tipo rob fleming; però tornare nella vita di una persona in genere comporta casini, scenate e scazzi del tipo, dove diamine sei stato negli ultimi sette anni e come osi tornare adesso. tornare nella mia no, perché non mi disegnano così: o vi ignoro, o riprendo a chiacchierare da dove eravamo rimasti. l'esperto del settore peraltro è esperto del settore in quanto latitante per un buon numero di anni, e ricomparso all'improvviso dal nulla perché - inserire una motivazione apparentemente valida ma chiaramente incompleta a caso.
in effetti potete scomparire e ricomparire quando vi pare, tanto io faccio lo stesso. solo, io lo so che non si torna nella vita di una persona perché si stava leggendo un libro o guardando un film o bevendo del limoncello e ci è venuta in mente quella persona lì. a me vengono in mente un sacco di persone, in continuazione, qualsiasi cosa faccia, e poi dopo due secondi me le scordo di nuovo. è come con i sogni, che quando sogni qualcuno il significato del sogno con quella persona non c'entra assolutamente niente, dipende da cosa rappresenta, ma è solo un simbolo, non è davvero lei.
ecco, quando tornate nella mia vita, io credo che di me non ve ne importi più di tanto. credo che vi siate persi per strada un pezzo di voi, credo che qualcosa vi stia sbilanciando, credo che abbiate necessità di disordine nel troppo ordine, di irresponsabilità nell'irreprensibilità, di caos nella programmazione. a me va benissimo: non esistere è comodo e deresponsabilizzante. basta saperlo. che io lo so, che non esisto. è se non lo sapete voi, che poi vi incasinate ancora di più. 

lunedì 29 luglio 2013

lana di roccia

dice la pecora-drago, il segreto è la lana. dice, guarda me, coperta di lana, ma sto benissimo, mica sbarello per il caldo come te. torno a casa e trovo gatto che dorme su una coperta di lana. quando fanno così mi viene sempre il dubbio che si siano messi d'accordo, tipo, facciamole credere che fanno quaranta gradi e lei deve andare in giro avvolta in un plaid; stupida com'è, capace che lo fa.
peraltro gatto sta facendo la rivisitazione estiva di un due tre stella. i gatti sono abilissimi a un due tre stella, sono sul tavolo della cucina, immobili, ti volti un secondo, e te li ritrovi in corridoio, immobili, chiudi gli occhi un attimo e riappaiono sul divano, immobili. la versione estiva è uguale, solo che si gioca da sdraiati, pancia all'aria e aria sofferente: stanno stremati sulle piastrelle del bagno, immobili, ti volti un attimo e poi li ritrovi nel lavandino della cucina, immobili, chiudi gli occhi e riappaiono accanto alla finestra a pancia all'aria, immobili. ricordano un po' le statue a forma di angeli del doctor who, che in realtà erano cattivissimi alieni che si spostavano quando non guardavi, e se ti toccavano ti spedivano in un'altra epoca (blink, 3x10; non solo fa paurissima ma è anche un doctor-lite, e non dovrebbero essere consentiti i doctor-lite quando si tratta del decimo dottore). comunque, gatto, se lo tocchi in un momento in cui è girato, non ti spedisce in un'altra epoca. solo in un ospedale.
(pronto soccorso oftalmico. triage.
- scusi, non ho capito, chi è che le ha tirato un pugno in un occhio? un matto?
- un gatto.
- un gat...
- ...to.
- gatto?
- gatto. felis silvestris catus. anche detto felis domesticus. beh, domesticus si fa per dire.
- ah, ok, le ha tirato una zampata.
- pugno.
- un pu...
- ...gno.
- che tip...?
- un diretto.
- un gatto?
- gatto.
- un diretto?
- diretto.
- in un occhio?
- occhio.
- ...
- ...
- e... ehm... perché?
- presumo ci si trovi più a suo agio che col gancio, e col montante avrà problemi anatomici, che ne so.
- certo. giusto. sì.).
comunque non lo faccio, non esco col plaid. vado in giro con pantaloni di lino arancioni e canottierina di cotone grigia. non posso mettere quella pervinca. è che la gente, quando se ne va (o quando si fa andare via), si porta via le cose. ma non le cose tipo gli oggetti, i libri, questo era mio, no era mio, era mio e mi ricordo benissimo quando l'ho comprato, giù le zampe da quel ciddì, vabbè guarda è mio ma lo ricompro basta che te ne vai. no, si portano via cose che non puoi ricomprare. 
si portano via il tuo ristorante preferito che di andarci con qualcun altro non te la senti, e di andarci da sola nemmeno, che o il cameriere chiede, o, peggio, ti guarda e non chiede. si portano via i colori, che ora hai tutta una collezione di magliette pervinca ma o non le metti più o dici che sono azzurre. si portano via le canzoni, i migliori album della nostra vita, assolutamente inutilizzabili (a parte benni, "scusami, ho usato la nostra canzone, per una nuova relazione"); tipo io ci ho questo problema con shpalman, ma in effetti è un problema relativo perché trovatemi qualcun altro in tutti i multiversi che sarebbe capace di impostare una relazione su shpalman, poi dire che finisce in un certo determinato modo è fin troppo ovvio. si portano via le parole. le parole, certe parole, non le puoi usare di nuovo. da nessuna parte, in una conversazione, in un racconto, in niente. non puoi.
(non avresti dovuto).
e lo so anch'io che la lana è isolante, grazie, lo so. ma tanto è impossibile isolarsi davvero, dal freddo, dal caldo, dal passato, non ci si isola proprio da niente. tocca aspettare settembre e che l'estate finisca più o meno nature, ma non sono gli anni passati il punto, sono le buche che diventano voragini e tutte le parole rubate.

giovedì 25 luglio 2013

run to milan baby run - day 6, 7, 8

affinità e divergenze tra la compagna booster e noi.
blister è un animale sociale. portatela in una piscina vuota, quello che vedrà nel boschetto della sua fantasia sarà un corso di acquagym pieno di papere starnazzanti, con cui farà amicizia in tre minuti. quello che vedrò io, saranno le corsie per il nuoto libero, vuote, in un orario scelto appositamente affinché in tutta la piscina gli unici esseri viventi siano la sottoscritta e i microorganismi che prosperano nella vaschetta della doccia in corridoio (che tanto scavalco). 
una volta blister è riuscita a trascinarmi a una lezione di acquagym (blister è alta 178 cm, uno più di me; ma pesa circa quindici chili di più. non è grassa: sono quindici chili in più di ossa, muscoli e tirannia. se blister decide che io devo provare una lezione di acquagym, non ho semplicemente scampo); è stata la mia prima e ultima ora di acquagym. in compenso, io una volta le ho dato buca all'ultimo momento, costringendola ad andare a correre da sola. l'ha presa benissimo: mi ha mandato un sms lamentoso subito prima, mi ha telefonato lamentandosi subito dopo, ha continuato a lamentarsi per i due giorni successivi. che io sembri nata appositamente per fare walking e running da sola, ça va sans dire.
però, abbiamo in comune una certa tendenza all'approccio ossessivo-compulsivo alle cose. quindi, ora disponiamo di un coso contacosi che ha ufficializzato che stiamo sui cinque chilometri al giorno, di un programma di allenamento feroce e di uno scopo. lo scopo l'ho individuato io (che non riesco a fare assolutamente niente se non ho una scadenza e una meta): stamattina le ho mandato una mail dicendole che il 13 ottobre a milano c'è la deejay ten, una 10 chilometri non competitiva. e concludendo, si. può. fare! 
chiunque altro mi avrebbe risposto di andare a correre verso il più vicino centro di igiene mentale. lei ha semplicemente risposto, si può fare sì. ha solo mostrato qualche perplessità del tipo, ma perché milano, ma per spiegarglielo avrei dovuto renderle note intenzioni che al momento non ho reso note nemmeno a me stessa. quindi, zitta e corri.

lunedì 22 luglio 2013

we will we will rock you - 3

il secondo album uscì nella prima metà del 1992, cioè nella seconda metà dei suoi sedici anni. lo accolse con una certa sorpresa. la sorprese il fatto che, mentre il primo album lo aveva percepito come una cosa principalmente fra lei e pseudojane, questo qui sembrava stesse avendo un certo successo. servi della gleba passava e ripassava in radio, per quanto in versione censurata. per il resto della sua vita, nonostante avesse la canzone integrale, per lei la vera versione di servi della gleba sarebbe rimasta quella censurata. che poi, ne esistevano parecchie, e una volta si era divertita a fare una cassetta registrando i passaggi nelle radio, con brani in cui c'era solo il classico fischio (d'autore, peraltro), altri in cui scomparivano intere frasi, senza contare che quasi tutte le radio sfumavano il finale. di quell'album le canzoni più amate furono pipppero e servi della gleba; per lei, furono essere donna oggi e uomini col borsello. 
quell'estate venne deportata dai suoi genitori in riviera adriatica. non la prese molto bene. chiunque sia cresciuto sul mare della sicilia, difficilmente ha un buon impatto con quelle file ordinatissime di ombrelloni, quella sabbia invadente, e quel mare su cui si cammina. lei era abituata alla dorsale siciliana tirrenica, tre passi e vai a fondo. e la solitudine. e l'ombrellone più vicino a trenta metri. e nessuno della tua età. e invece quel posto era pieno di ragazzi. era pieno di ragazzi che ascoltavano gli eelst, scoprì sconcertata. venivano da milano, ed erano simpatici, scoprì sempre più sconcertata. e sapevano anche loro rapput a memoria, scoprì trasformata nella quintessenza dello sconcerto. cioè, c'era altra gente oltre lei e pseudojane che conosceva gli eelst, e ci si poteva addirittura fare amicizia.
così fu che a settembre tornò a scuola, riprese il corso di teatro, si guardò allo specchio e si trovò inaspettatamente bella, si guardò intorno e si trovò accanto degli amici. una, soprattutto: aveva tutto patè d'animo; aveva anche il secondo album; la sua canzone preferita era servi della gleba, ma nessuno è perfetto. poi una domenica notte accese il televisore e si innamorò.
nell'autunno del 1992, mentre lei era impegnata a sopravvivere al secondo liceo, a litigare con shakespeare e a scoprire che non era l'unica liceale che ascoltava gli eelst, rai3 mandò in onda per dieci puntate, di domenica in seconda serata, su la testa, con paolo rossi. e lei si innamorò di paolo rossi, in un momento in cui mezza scuola era innamorata di kevin costner. mise momentaneamente da parte gli eelst per adottare, come colonna sonora dei suoi diciassette anni, l'inno dello scarafaggio: odio il mondo, son disperato, son deprivato, da tutti son schiacciato; sono la bestia che non può camminare, perché non tiene marijuana da fumare. più facile da imparare a memoria di rapput, e più in linea con la sua adolescenza. e poi iniziò disperatamente a cercare notizie su paolo rossi, in un'epoca in cui wiki ancora non c'era. eppure ci riuscì, e quello che scoprì fu un universo. scoprì che negli anni '80, gli anni della milano da bere, era esistita una contromilano, di cui loro adolescenti romani non sapevano assolutamente nulla. una contromilano di teatro dell'elfo, di musica, di cabaret, di chiamatemi kowalski, una contromilano bellissima, di cui sapeva che avrebbe sentito la mancanza per sempre (tra le sue specialità, c'era il riuscire ad applicare la nostalgia anche in situazioni mai vissute). e in quella contromilano bellissima, ritrovò il suo gruppo, elio to muzukashii monogatari, molto prima che incidessero il primo singolo, molto prima che lei ne sapesse nulla. anche perché, in effetti, andava alle elementari, in quei tempi lì. 
su la testa fu lo sportello della sua delorean. e fu il dolore, ricordato e ripetuto negli anni, di quell'ultima puntata, di quell'ultimo monologo, di quel finale a chiudere, tutti, tutti i sogni che voi avete portato via ai padri dei nostri padri, noi li rivogliamo, ora, qui, subito.

sabato 20 luglio 2013

non sottovalutare le conseguenze dell'amore - 23

la malinconica bellezza di un elegante addio definitivo, che ti fa sentire tutta la mancanza dei litigiosissimi, aggressivi, sfiancanti, meschini arrivederci temporanei.

giovedì 18 luglio 2013

volare sott'acqua (fabio lubrano, ed. liberaria)

la prima storia che ho letto di fabio lubrano è stata "l'amore è una brutta cosa con un bel nome". il titolo è una citazione da j.k.jerome; non serve aggiungere altro.
poi ho letto "malinverno". all'epoca scrissi, "malinverno è il sognatore delle notti bianche, che cammina nella schiuma dei giorni, solo come un mago baol". non serve aggiungere altro.
poi ho letto "ok, panico!". per chiunque abbia dimestichezza con le crisi di panico, il che vuol dire, ad esempio, ritrovarsi stampati contro un muro, per strada, come nemmeno un manifesto abusivo, non serve aggiungere altro.
ora è uscito, per liberaria, "volare sott'acqua". è una raccolta di racconti. in buona parte già li conoscevo; ieri, in libreria, ne ho letto uno di cui invece non sapevo nulla, e mi sono ritrovata a ridere da sola come una cretina, appoggiata allo scaffale dei testi per l'ammissione alle facoltà a numero chiuso (mi ero spostata per cercare un posto comodo: lo avessi letto nella sezione narrativa, o letteratura umoristica, magari commessi e clienti non mi avrebbero guardata con gli occhi pallati). non servirebbe aggiungere altro.
ma siccome il libro è appena uscito, la casa editrice è giovane, promuovere un romanzo in questo paese è una fatica immane, promuovere una raccolta di racconti è un'immanità faticosa, allora stavolta aggiungo.
premetto che io fabio lo conosco. proprio in carne e ossa, tipo che so quant'è alto, con che voce parla, come sorride. quindi forse non vale. però lo conosco perché l'ho letto. quindi forse vale. e comunque, non è un mio amico, nessuno dei due fa parte di una qualche lobby culturale, e che sto scrivendo questo post nemmeno glielo dico. quindi vale sicuramente.
non lo capisco bene perché in questo paese (ma mica solo in questo) i racconti non tirino per niente. in genere si dice, se ti piace la storia, vorresti che durasse di più; se non ti piace lo stile, non ti piacerà nessun racconto. allora, in primis, non tutte le storie ha senso che durino quanto guerra e pace. come nella vita, più o meno. ci sono storie che sono belle proprio perché durano cinque pagine; a spalmarle su cinquecento, in genere si ottengono disastri. 
poi, una raccolta di racconti (una buona raccolta di racconti) non ti dà un'idea dello stile di un autore. ti dà un'idea degli stili di un autore. un romanzo mostra parecchio dell'anima di una persona, a volte anche decisamente troppo. ma in genere, di quell'anima, è una fotografia, resta bidimensionale. una raccolta di racconti (una buona raccolta di un certo tipo di racconti) invece è come se ricostruisse un'anima in 3d. vedi lo scrittore quando si è svegliato divertito e quando si è alzato che era già stanco; lo guardi fare colazione sfiduciato o entusiasta; lo segui mentre va a lavorare cinico o ingenuo; lo osservi fumare una sigaretta in pausa mentre pensa in silenzio al passato o al futuro; lo accompagni mentre cammina e interagisce con un mondo surreale o spietato. 
in questa raccolta qui, "volare sott'acqua", c'è molto di quello che si era già intravisto, lo humour e l'ansia, il sogno e il buio, l'amore e la solitudine, la tenerezza e la crudeltà, lo splendore e la violenza. e c'è altro. tutta un'anima in 3d. solo un consiglio: evitate di sfogliarlo nel settore test universitari a numero chiuso. davvero.

mercoledì 17 luglio 2013

we will we will rock you - 2

alla fine del quarto ginnasio pseudojane, la sua unica amica, venne bocciata, e cambiò classe. l'anno successivo venne bocciata di nuovo, e cambiò scuola. quindi lei si trovò ad affrontare il primo liceo, e l'improvvisa presa di coscienza da parte di madre natura sul fatto che fino a quel momento era stata parecchio ingiusta nei suoi confronti, e che sarebbe stato il caso di rimediare con urgenza e convinzione, completamente da sola. nel 1991 fece solo due cose di una certa rilevanza. la prima fu iscriversi a un corso di teatro, perché si sa che se sei timida e asociale quello che devi fare è recitazione, così diventi estroversa, carismatica e vinci pure un oscar. anni dopo, si sarebbe ritrovata ancora timida, asociale e inspiegabilmente priva di oscar, ma non si può mai dire. la seconda fu superare l'istintiva ritrosia nei confronti dei testi imparati a memoria. 
aveva sempre mal tollerato tutto quel pressante martellamento sui cipressi che a bolgheri alti e schietti, per non parlare poi dell'ermo colle e dei passeri più disadattati di lei, non provava il minimo interesse nel farsi cantare da chicchessia del pelide achille l'ira funesta, se ne sbatteva di ogni singolo ramo di ogni singolo lago di ogni singola parte del globo, e quello che faceva la gente nel mezzo del cammin della sua vita, e di come dava l'addio ai monti, erano affari della gente e non suoi. ma nel 1991, dopo quindici anni di convinta renitenza all'apprendimento mnemonico, imparò il testo più lungo della sua vita. rapput. e quella volta una domenica d'ottobre già l'autunno ci moriva addosso io fumavo sigarette amare. lo imparò così bene che a distanza di ventidue anni esatti, incuriosita, provò a recitarlo a memoria di nuovo, e scoprì che ancora se lo ricordava. ma tutto. anche la seconda e la terza strofa. ogni singolo scampolo d'assenza, nessuno escluso. da rapput a shakespeare, il passo è breve, e l'anno successivo debuttò come titania, regina delle fate. ventidue anni dopo, di tutto quel lungo sogno di una notte di mezza estate, si ricordò solo, fate, andiamo via, ho rinnegato il suo letto e la sua compagnia. con oberon che presumibilmente pensava, puttana. 
nel 1991 successe anche che mentre guardava in tv il concerto del primo maggio, all'improvviso le venne un dubbio. ventidue anni dopo, mentre guardava in tv il concerto del primo maggio, le venne un altro dubbio. guardare in tv i concerti del primo maggio è un esercizio intellettuale ed emotivo più impegnativo di quanto si direbbe. anche suonarci, probabilmente.

lunedì 15 luglio 2013

walk baby walk - 5

c'è sempre una strana memoria dell'essersi fatti male; un riposizionamento di tutto il corpo non solo quando c'è il dolore, ma anche e soprattutto dopo, quando tutto dovrebbe essere passato. se ti rompi un metatarso, se ti sloghi una caviglia, avrai difficoltà a scendere le scale anche quando ormai tutto sarà ricomposto e la muscolatura sarà tornata a funzionare normalmente. perché, semplicemente, hai paura. è qualcosa di estremamente facile da capire e accettare se hai zoppicato per due mesi; ti guardi scendere i gradini con cautela, alla ricerca di un appoggio, e sai che è normale, che è umano, che poi passa. perché tu non ti riconosca, o non ti conceda di riconoscerti, questo diritto alla memoria del dolore, anche al di fuori dei traumi fisici, è uno dei problemi su cui dovresti lavorare. se qualcosa ti ha fatto male, hai diritto (dovere) al riposo. poi, devi passare un lungo periodo di esercizi di stretching e riscaldamento, senza andare a correre. poi, puoi ripartire con la camminata veloce. poi, puoi correre.
sono in fase camminata veloce, e vado con booster. con booster scopriamo nuovi percorsi, chiacchieriamo un sacco anche se non abbiamo fiato, spettegoliamo su tutto il quartiere-paese e anche qualche quartiere limitrofo, spizziamo i runner, i runner spizzano noi (ognuna di noi in realtà pensa, "spizzano me") (per i non romani, spizzare qualcuno è un modo di guardarlo; ai giocatori di poker sarà abbastanza chiaro, per quanto difficilmente un giocatore di poker ammicchi ai propri assi, e se lo fa, beh, lasciasse perdere il poker, non fa per lui).
la cosa veramente buffa, però, è che, delle due, è booster che ha paura. perché non si è ancora buttata, e non vuole passare dalla camminata veloce al running. io, al solito, annego la paura nell'incoscienza, perché a leggere harry potter ho imparato che la paura peggiore è quella della paura stessa. ci ho grandi maestri filosofici, ebbene sì. riddikulus!

giovedì 11 luglio 2013

pelargonium antiscivolo

il nubifragio delle quattremmezza-cinque ieri è arrivato alle sette e un quarto, oggi anticipa alle tre e tre quarti. è incredibile come qualsiasi entità di qualsiasi tipo, di passaggio a roma, dopo pochi giorni perda completamente il senso della puntualità.
io ho risolto il problema del ricordarmi di annaffiare le piante, e l'ho sostituito con quello del ricordarmi di scolarle. bocca di rosa e via del campo, le due belle di notte più adulte, vanno strizzate ogni mattina. quanto ai gerani, gerundio presente l'ho messo accanto a participio presente perché si renda conto di quanto è bello un geranio che si decide a fare i fiori. in effetti gerundio presente osserva i fiori di participio presente con aria partecipe e ammirata. e si rifiuta categoricamente di mettere su mezzo bocciolo. gerundio presente è arrivato qui già da qualche anno. è stato messo in un vaso più grande, con la terra nuova. è stato concimato e riconcimato. è stato deparassitarizzato con metodi naturali (cioè, mi sono spulciata ogni singola foglia). quando ha nevicato è stato tratto in salvo, portato dentro casa e posizionato nella doccia (con notevole shock di gatto, che dopo anni ancora nemmeno si è ripreso dai pesci antiscivolo; io poi non lo so se è normale un gatto che si affaccia nella doccia, vede i nuovi pesci antiscivolo, fa un salto di mezzo metro e scappa; e, no, non è colpa dei pesci antiscivolo, sono blu e viola e sono molto carini e molto immobili e molto innocui). per il resto non ha problemi, cresce, fa foglie grandi come insalate, emana salute da tutti i pori. 
a un certo punto mi è venuto il dubbio che fosse uno di quei casi tipo, quello che si porta dentro casa il gattino trovato per strada e dopo qualche mese si ritrova la lince in salotto. allora ho approfittato di una visita in città dell'augusta genitrice, che dovrebbe essere qualcosa tipo una biologa botanica o simile allestimento di sillabe, e ho chiesto a lei. lei lo ha esaminato e ha detto, ah, un pelargonium-parola-latina-incomprensibile. io ho esclamato, quindi è vero, non è un geranio!, e lei mi ha guardata con quella tipica espressione di quando si chiede perché, con tutte le culle a disposizione sul pianeta terra, gli extraterrestri che passavano di lì quel giorno abbiano deciso di operare lo scambio proprio con sua figlia.
credo che ogni tanto si faccia venire l'idea di fare causa alla clinica, ma a essere precisi dovrebbe fare causa all'azienda dei trasporti, perché io sono nata con un mese di anticipo e stavo per inaugurare la mia esistenza sul 38/ (linea che negli anni successivi è stata inspiegabilmente abolita), evento che viene ricordato come la mia prima fuga da casa, e come l'unica volta nella mia vita in cui sono arrivata da qualche parte in anticipo. per il resto, le fragole fanno le fragole, io faccio la gvu, il bastone della pioggia giura che con i nubifragi non c'entra niente, l'albero di natale nano ci tiene a ribadire che lui esiste davvero, e chiunque ci viva insieme non può avere il minimo dubbio in proposito.

lunedì 8 luglio 2013

contro, pro

- milano si diverte a fermare la metro quando ci sto io dentro. e lo sa che soffro di claustrofobia. lo fa apposta.
- non potendo più prendere la metro, ho scoperto i tram. sono bellissimi.
- una volta che ho preso un tram a milano, è salito un tizio, ha scrutato tutti i passeggeri uno per uno, alla fine si è voltato verso di me e ha urlato: bladicànt!
- abituata a non capire l'idioma locale, e messa fuori strada dalla pronuncia non proprio perfetta, lì per lì ho pensato che fosse incomprensibile milanese stretto e l'ho ignorato. milano mi regala l'inconsapevolezza.
- a milano ho preso le due più spettacolari tranvate sentimentali della mia vita.
- a milano sono stata amata troppissimo.
- a milano un tizio ha avuto l'ardire di dirmi, seriamente sorpreso: strano, sei meridionale ma non sei piena di peli (roma notoriamente è situata in mezzo a una giungla equatoriale ed è popolata da scimmie).
- ma contro ogni luogo comune, tutti i milanesi sconosciuti con cui ho interagito per strada, perché mi ero persa o che, sono stati di una gentilezza e di una disponibilità commoventi.
- l'ultima volta che sono andata via da milano, sono uscita dalla porta della casa dove stavo, lo zaino era troppo grande e la porta troppo stretta, mi sono incastrata, ho spinto al massimo per riuscire a passare, lo zaino si è disincastrato di botto, sono schizzata in avanti in accelerazione verso la ringhiera del ballatoio del quarto piano; a due centimetri dalla ringhiera, dallo sfondamento della stessa e dalla morte certa per sfracellamento, una delle cinghie dello zaino si è avviluppata intorno alla maniglia della porta e mi ha ritirata indietro con uno strappo, portandomi a spalmarmi di schiena contro la porta e a restarci legata, agitandomi come una tartaruga cappottata.
- era un modo da parte di milano per dirmi che non voleva che andassi via. giusto un po' teatrale, ecco.
- a milano non hanno un buon rapporto col verde pubblico.
- però ci fanno su delle gran belle canzoni.
- non hanno nemmeno un gran rapporto col concetto di stare seduti all'aperto a non far niente, col concetto di non far niente, di stare seduti, di all'aperto.
- ma una volta che hai scoperto che puoi sederti a piazza dei mercanti, non te ne andresti più.
- a milano il cielo è quasi sempre color milano.
- fa pendant col resto della città. è un tocco di classe.
- la città è dura. fredda. piena di spigoli. fa male, a chi viene da una città morbida, temperata, piena di curve.
- è esattamente quello che ti serve adesso. imparare da capo a sopravvivere alla durezza, al freddo, agli spigoli, e riuscire a vederne comunque la bellezza.
- roma è roma.
- ed è eterna. puoi tornare quando vuoi. e per lei non sarà passato neanche un secondo.

venerdì 5 luglio 2013

we will we will rock you - 1

gliel'avessero detto all'epoca, che ventitré anni dopo, a guardare il video di amore amorissimo, avrebbe reagito in quel modo, avrebbe iniziato già da allora a mettere da parte i soldi per lo psichiatra.
quella mattina avevano fatto sega a scuola, lei e pseudojane. avevano gironzolato per un po’ in centro sotto gli sguardi di disapprovazione degli adulti, perché se è mattina, se dimostri intorno ai dodici-tredici-quattordici anni, se vaghi in centro senza scopo, hai chiaramente fatto sega a scuola, e ciò non sta bene. se in più la tua migliore amica è vestita come robert smith in un giorno in cui gli gira particolarmente male, e tu sembri prelevata dalle comparse di hair, difficilmente gli sguardi saranno più benevoli. era il 1989. sembra niente a dirlo adesso, ma il mondo era diverso, e gli sguardi pure.
alla fine erano andate a casa di pseudojane. erano le case popolari del tufello parte di sotto. le aveva sempre trovate molto più eleganti delle case popolari di tufello parte di sopra. appena entrate si erano imbattute nel fratello di pseudojane, in pigiama. sega pure lui. una giornatona, per l’educazione scolastica. in camera, pseudojane aveva estratto da fuori campo (presumibilmente da sotto il tavolo, ma nei suoi ricordi si materializzava da fuori campo) l’accrocco registratore. e aveva detto, devi assolutamente ascoltare questa, è appena uscita. e loro sono bravissimi, genio puro. ventitré anni dopo avrebbe pensato che quella era stata la prima volta, di successivi futuri milioni, in cui li aveva sentiti associati alla parola genio. e dei successivi milioni, quel genio lì, detto da una ragazzina, è stato di gran lunga il più sincero.
era pseudojane che si occupava della sua educazione musicale. e di un bel po’ di altre cose. era la sua unica amica; lei all’epoca era piccola, non solo in senso anagrafico, ma anche rispetto alla sua età. era timidissima. totalmente asociale. ed era anche bruttina. era un tipico caso di tapparella inside, non fosse che per ascoltare tapparella mancavano ancora sei anni e mezzo.
questa è l’unica canzone di cui tuttora si ricordi in modo così nitido la prima volta in cui l’ha sentita. la parete della stanza col poster dei boschi, chiara premonizione di parco sempione, avrebbe pensato poi. l’accrocco registratore posato con cura sul tavolo. l’orgoglio sul viso di pseudojane, che dopo averle trasmesso tutta una cultura a base di cure, cult, bauhaus, david bowie, diciassette re, ricevendo in cambio il suo entusiasmo assoluto e sincero per bowie, cure e cult, e una certa perplessità per litfiba e bauhaus, si stava giocando l’asso. i genii.
ci fu un piccolo intoppo nella comprensione del titolo. le servì qualche secondo per capirlo in italiano. anni dopo, avrebbe provato a tradurlo in giapponese, senza riuscire a ottenere da nessun giapponese la conferma se la traduzione fosse esatta o no. provateci voi, a spiegare a un giapponese, in uno pseudoesperanto a base di italiano inglese giapponese, nubi di ieri sul nostro domani odierno. anni dopo, avrebbe anche deciso che, per quanto filologicamente del tutto scorretta, per lei la traduzione del loro nome in giap era elio to muzukashii monogatari. anni dopo, assolutamente senza capire perché, a guardare il video di amore amorissimo, avrebbe pianto.

mercoledì 3 luglio 2013

in pecoradrago we trust

devo prendere una decisione. da circa una settimana. che per me è un'eternità: in genere prima decido e poi mi interrogo su cosa ho deciso. è capitato, a volte, che ci abbia messo un'infinità di tempo, addirittura un quarto d'ora, per fare una scelta, ma è perché nel frattempo ero stata distratta da qualcosa; la vita è un posto pieno di distrazioni interessanti. non è che io sia particolarmente sveglia o con i riflessi pronti o strasicura di tutto o che. è che mi scoccio facile. di me stessa soprattutto.
quindi, dopo una settimana, all'apice dell'autoscocciatura, sono andata dalla pecora-drago. l'ho trovata, al solito, che masticava all'ombra. le ho chiesto:
- secondo te è peggio lavorare con qualcuno di cui non ti fidi, o con qualcuno che non si fida di te?
lei ha masticato un altro po', e poi ha risposto:
- non chiederti mai cosa è peggio. chiediti sempre cos'è più divertente.
sono tornata a casa e ho travasato l'aloe. ho sentito dire di gente che riesce a travasare le piante senza versarsi mezzo chilo di terra nelle scarpe, giù per le maniche, tra i capelli, ovunque. sono chiaramente persone che hanno un segreto. e non lo dicono. pochi sanno e non lo dicono.
penso che dovrei lavare il terrazzo. a questo proposito. ogni tanto guardo le statistiche di gugl su chi arriva da queste parti. a volte mi sento in colpa che cercavate abelardo ed eloisa, un testo degli eelst, informazioni sull'aspirina, e avete trovato me: presumo che a un sacco di gente ho fatto perdere un sacco di tempo. mi scuso. davvero. e in genere non interagisco con voi in alcun modo, non faccio post buffi sulle chiavi di ricerca con cui siete arrivati qui e non sono proprio tipo da delurking day. però, all'anonimo sconosciuto che alle quattro di notte ha letto ventisette miei post, vorrei dire questa cosa (se nel frattempo non si è suicidato).
io lavo le finestre quando mi serve scaricare, quando sono arrabbiata o preoccupata o schiacciata. indipendentemente dal tempo. quindi, spesso, lavo le finestre quando piove. una volta stavo passeggiando sotto la pioggia, e ho visto un signore che lavava il balcone. non che approfittando della pioggia dava una passata con lo straccio: stava proprio lì con pompa spazzoloni e detersivi. e mi sono chiesta, ma se io quando sto così lavo le finestre quando piove, a questo, che addirittura sta lavando il balcone, che diamine gli sarà successo?
ecco, anonimo. se io quando sto in un certo modo scrivo un post, non oso pensare a come devi stare tu per leggertene ventisette di seguito alle quattro di notte. tutto quello che posso dirti è che, quando vuoi, possiamo lavare il terrazzo. e comunque, non è niente, non è per sempre. davvero.

domenica 30 giugno 2013

sunday morning

certe mattine si illuminano presto, ed è un bene, perché hai solo pochi minuti. perché la prima a entrare è l'alba, ma poi arrivano i suoni dentro e i rumori fuori, quello che ti preoccupa e chi taglia la siepe, quello su cui non sai decidere e chi lava il balcone, e le voci sono così invadenti, le altrui e le proprie.
non c'è inquietudine al tuo fianco, forse fantasmi, ma quella è un'altra canzone. e non hai mai ragionato in termini di anni buttati, e neanche di mesi, e hai sempre pensato che tutto porta da qualche parte; del resto vivi in un vicolo, un passaggio stretto tra due mondi, i vicoli sono piccoli tra i palazzi alti, sono bui, mentre ci sei non ti lasciano capire dove stai andando, ed è questo che li rende immensi.
e se hai una sensazione che non vuoi sapere, riguarda altro, e se stai cadendo, è per le strade che non hai attraversato. che ci sono persone che ti chiamano in silenzio, lo vedi, e se non rispondi è perché non sai che dire, in effetti da dire non hai nulla, tu non ti sei spostata, non vai cercata perché ti trovi esattamente dov'eri, e forse il problema è questo. ma non è niente.

venerdì 28 giugno 2013

comunque è una bellissima musica blu

ho una macchia sul plafone.
ora posso far valere tutti i miei millesimi. c'è solo un dettaglio: non ce li ho, i millesimi. la casa non è mia.
a dirla tutta, non ho nemmeno il plafone. la macchia di umidità è sul soffitto.
insomma, io, di tutta la canzone, ho solo la macchia.

martedì 25 giugno 2013

if

presumo che ai tempi di kipling non avessero ancora inventato i freezer, altrimenti avrebbe aggiunto:
se, 
qualsiasi cosa accada, 
qualsiasi problema tu abbia, 
riesci a non dimenticarti 
la vaschetta di gelato al caffè 
nella borsa, 
porcapupazza.

lunedì 24 giugno 2013

fletto i neuroni e sono nel vuoto

il furgone dell'actaf è parcheggiato a pochi metri dal cancello. ovviamente sotto copertura: finge di essere un furgone per la consegna di sushi. figuriamoci. sushi, al quartiere sonnifero-15. sarebbe più credibile il furgone di una ditta di condizionatori d'aria parcheggiato a pochi metri da un igloo. 
del resto anch'io sono sotto copertura, del tutto involontaria. da quando mi sono trasferita al sonnifero-15, si è sparsa la voce che io sia una pittrice. ho mai comprato un pennello? no. tele, acquaragia, colori a tempera, pastelli a olio, pennarelli, matite colorate, gommapane? no. vado in giro macchiata di colore? no. e quindi? dice la cameriera del bar in piazza che a lei l'ha detto il ragazzo della tabaccheria che l'ha sentito dal giornalaio che ne parlava con il marito della parrucchiera che l'ha saputo una volta che l'infermiera del quarto piano è venuta a fare le iniezioni alla suocera. non ho mai smentito; avere una copertura mi torna utile, e nemmeno mi sono dovuta prendere il disturbo di inventarmela.
forse controllano le mie telefonate. nelle ultime ventiquattro ore hanno chiamato, la segretaria del dentista, per disdire un appuntamento causa improvviso impegno del dottore, il mio ex, che ha un problema col gomito del tennista, e stirammira. stirammira è la mia complice oag. ovviamente tra noi parliamo cifrato: in questo momento, per quanto ne so, i computer dell'actaf staranno analizzando la parte di conversazione in cui stirammira si lamenta di dover stirare una camicia da tailleur tutte le sere, per decifrare a cosa corrisponda la parola camicia, il verbo stirare, chi è il tailleur, e per cosa sta tutte le sere. a dire il vero, semplicemente, stirammira odia stirare. capita. anche la parte sul lavare i piatti era del tutto innocente. a noi piace davvero lavare i piatti.
una volta ero un'integrata actaf, prima di essere spostata nella divisione genio. prima che succedesse tutto quello che è successo, e soprattutto, prima di cinque giorni fa, quando stirammira e io siamo diventate operative. 
(tentativo di decompressione - part 1).

domenica 23 giugno 2013

mark the music

sai, madame, quelle persone che non riesci ad associare loro nessuna musica, e ti chiedi com'è, niente, non ti fanno risuonare nemmeno mezza nota, di nessun genere, dal clavicembalo ben temperato a plastic people, dalla marcia trionfale dell'aida a the great gig in the sky, che ti chiedi se ti si sono rotti gli amplificatori, gli auricolari, la puntina, il laser, le testine, che non senti nulla. e poi ci parli e scopri che non ascoltano musica. mai. niente. di nessun tipo. nemmeno musica che direbbe qualcuno non è musica è rumore, nemmeno roba che diresti tu poi se investono su cose così le case discografiche non si lamentassero della crisi e tutto quanto. niente. nessuna. musica.
la gente che niente musica, la gente che niente lettore mp3 lì accanto la mattina, e gli scatoloni con le cassette, e prendersi una pausa e andare a fumare e ascoltare di là, e se mi sento così l'unica cosa che mi aiuta o mi accompagna o mi capisce o, ma anche chiedere alla tabaccaia che stazione è, la musica che ballicchi al bancomat consapevole della telecamera che ti registra ma non puoi farci niente, restare nella corsia del supermercato un minuto di più anche se non ti servono gli omogeneizzati non hai figli ma l'altoparlante è lì e quella ti è sempre piaciuta e la vuoi sentire fino alla fine sì scusi signora mi sposto, insomma, niente. niente tutto il giorno. niente tutti i giorni. toglie il respiro, solo l'idea. è soffocante. pensi a una vita così e ti senti la cassa toracica schiacciata. 
facci caso, madame, che queste persone che non ti fanno venire in mente nessuna musica, è che proprio non ce l'hanno, nessuna musica. facci caso, madame, che queste persone qui, poi, se vai a vedere, domani sarà oggi sarà ieri, nessuna disperazione, al massimo un'astenia sottile e atona, nessuna felicità che esplode, al massimo una soddisfazione cattiva, nessuna ironia, nessuna comprensione, nessuna gentilezza, e se non soffocano è perché non possono. perché già di loro non respirano.
facci caso, che non sono nemmeno cattivi. sono, al più, meschini. sono quelli che rubano i sogni ma poco e male perché non sanno che farsene, quelli che sporcano le idee, quelli che infieriscono sulle persone a terra perché già da seduti per loro si è troppo alti, quelli che non sorridono se solo e soltanto per forma devono ringraziare o chiedere per favore, quelli che non ascoltano, perché non è solo la musica, non ascoltano proprio niente.
The man that hath no music in himself,
Nor is not moved with concord of sweet sounds,
Is fit for treasons, stratagems, and spoils.
The motions of his spirit are dull as night,
And his affections dark as Erebus.
Let no such man be trusted. Mark the music.
(William Shakespeare, The Merchant of Venice)

giovedì 20 giugno 2013

fote, dide

la donna che cammina su e giù lungo il marciapiede, il cellulare contro l'orecchio, una borsa bianca nell'altra mano, l'espressione tesa, quasi disgustata. le passi accanto e la senti dire, voi siete usurai legalizzati; avete condiviso lo stesso metro di asfalto nell'unico momento in cui avevi la possibilità di capire con chi stesse parlando. prosegui, ti chiedi cos'è, il mutuo della casa, un negozio, se ha qualcuno che l'aiuterà, se sta esagerando, se è disperata, se comunque vada ricomincerà da capo, se cederà e andrà ad allungare la lista dei partecipanti al rave per disperati che si tiene sui binari della metro b.
due ragazzine su un muretto, una piange, ho sbagliato tutto, mi daranno sessanta; ti ricordi che oggi c'era la seconda prova della maturità. ai tuoi tempi sessanta era il voto massimo, tu sei uscita con quarantanove, caso unico in tutta la scuola; a riconoscerti che avevi fatto un buon esame, a ricordarti che è stata quasi l'unica cosa buona che tu abbia fatto in cinque anni. è un mondo altro che ha regole che è inutile sminuire e leggi che è sciocco sottovalutare, non c'è rispetto nel dirle non piangere, è una parentesi che sta per chiudersi per sempre, non te ne importerà più; adesso la parentesi per lei è ancora aperta, ci sta dentro, sei tu che sei fuori, l'errore di punteggiatura è tuo, l'errore di punteggiatura sei tu.
l'anoressica bionda che incontri da anni, ancora viva anche se ormai non peserà più di trentacinque, quaranta chili, venti meno di te, ed è alta come te, e tu già sei sottopeso. i cerotti sulle braccia e sulle gambe, scoperte con ostentazione, quelle ossa a sfidarti, questa implacabile battaglia che la consuma e non la spegne, l'occhiata d'odio che ti riserva ogni volta, il velo indifferente che le restituisci tu.
e poi basta, il viale all'una e trenta è deserto, asfalto che ondeggia e giusto un uccello, a sinistra c'è il nulla dei prati, a destra il silenzio, va bene così, se l'umanità deve essere sempre così dolente è meglio non incontrarla, ripensi ai sorrisi cortesi che concedi a tutti, allo sguardo freddo che nascondi dietro gli occhiali scuri, il freddo è meglio di questo dolore che brucia.

mercoledì 19 giugno 2013

ti svegli in letti stranieri, muta d'accento

in genere i testi delle canzoni si toppano in tre modi: hai capito la parola ma quando la canti non si sa perché ne dici un'altra; hai capito la parola ma non il senso della frase; non hai capito la parola.
esempio 1: ed io, modenese volgare, a sudarmi un amore, fosse pure ancestrale. non è ancestrale, è ancillare. non lo so perché io a questo povero innocente di modenese, ogni volta, devo affibbiargli un amore ancestrale. ma poi, vai a sapere; magari gli amori ancestrali rispetto a quelli ancillari hanno un loro perché.
esempio 2: la donna è mobile, dal fiume al vento, muta d'accento e di pensiero. nelle intenzioni del duca di mantova la donna sarebbe mobile qual piuma al vento; ma io lo ascoltavo da piccolissima (sono stata cresciuta da un melomane) e quindi non solo avevo capito dal fiume, complemento di moto da luogo, al vento, moto a luogo, ma avevo anche leggermente frainteso quel muta, prendendolo per un aggettivo. una donna che non stava ferma due secondi, se ne andava su e giù dal fiume al vento, però silenziosissima.
esempio 3: quando è uscito eat the phikis avevo già vent'anni, quindi la giustificazione della minore età non vale. stato a, stato b, a un certo punto la canzone dice, ti svegli in letti stranieri, grazie alla lingua italiana. non riuscivo a capire lingua, non c'era verso. avevo percepito chiaramente la presenza di una elle, di una i e di una u, non è che mancasse molto. riflettendoci su e andando a senso, ho creato questo capolavoro, in fior di metafora: ti svegli in letti stranieri, grazie alla lipu italiana. lipu, lega italiana protezione uccelli. che ci sta, eh. ci sta da dio. prima o poi gli mando un curriculum.

martedì 18 giugno 2013

prima o poi l'amore arriva (s.benni)

(un'ora ad aspettare sotto il sole a picco).
se avete la brillante idea di chiamare un autobus "69", poi quantomeno ogni tanto dovreste farlo venire.

lunedì 17 giugno 2013

ho un ginocchio che mi fa contatto con lo stomaco

odio perdere gli accendini cinque minuti dopo averli comprati. soprattutto se per arrivare dall'allegra tabaccaia del quartiere-paese, che sta a circa trecento metri da casa mia, mi ci vuole mezz'ora. 
una settimana fa mi sono fatta venire una tendinite a un ginocchio. quindi ho iniziato a pesare quasi solo sull'altro, che però già da prima era un ginocchio a sganciamento rapido (gli ortopedici li chiamano problemi ai legamenti, ma non hanno fantasia). quindi ora, sovraccaricato, è diventato un ginocchio a sganciamento rapidissimo e decollo immediato. e comunque non è bello camminare con accompagnamento di clic-cloc, che ti senti il coccodrillo di capitan uncino dopo che ha ingoiato la sveglia. 
nel frattempo, per non annoiarmi, mi sono fatta venire un qualcosa che ha esordito come via di mezzo fra tonsillite otite e laringite, salvo dopo tre giorni prendere la sua decisione definitiva: in effetti si sente una broncotracheite. una settimana di antiinfiammatori assortiti per ginocchia vie respiratorie e tutto quanto è bastata per generare nel mio stomaco uno stato di profonda indignazione.
vorrei poter citare uno dei miei maestri assoluti e dire che mi manca solo il ginocchio della lavandaia, ma in effetti credo che l'allieva abbia superato il maestro: secondo me ce l'ho. chi vuole, affittiamo una barca, recuperiamo un cane, e ce ne andiamo in gita sul tamigi.
(p.s. è il centesimo post, non me n'ero accorta. nel centesimo post ho citato sia gli eelst sia jkj. quando non me ne accorgo, sono un genio).

lunedì 10 giugno 2013

rapidi mutamenti nella psiche di una runner - day 4

il primo giorno che vai a correre ti senti un'idiota. cammini, passeggi, cerchi di darti un tono, aspetti che non ci sia nessuno nel raggio di chilometri, alle persone che tuo malgrado incroci, cerchi di comunicare telepaticamente che, a dispetto di come sei vestita, non stai mica andando a correre. è che quel giorno ti andava di vestirti così. il mondo che ti circonda, ti appare chiaro, è un mondo di persone che camminano, mica corrono. sei un'estranea che pensa di correre in un mondo dove si cammina. guardi tutte quelle persone che camminano e ti sembrano molto più sensate di te. guardi quelli che corrono e ti sembrano alieni. poi ti butti, e corri.
il secondo giorno che vai a correre ti senti a un passo dalla morte. non hai tempo né possibilità di essere imbarazzata, sei completamente concentrata sul fatto che, un altro metro e schioppi.
il terzo giorno che vai a correre, corri e vuoi correre, non fa male, non stai morendo, non te ne frega niente di nessuno, solo di correre.
il quarto giorno che vai a correre, non corri. non corri perché al secondo passo senti che il ginocchio sinistro non regge. non è una questione di fatica, non è una questione di fiato, né di muscoli; di corsa non sai niente, ma di legamenti del ginocchio sì. freni subito. devi camminare, non puoi fare altro che tornartene a casa camminando mestamente. e all'improvviso, il mondo che ti circonda è diverso. il mondo che ti circonda, ti appare chiaro, è un mondo di persone che corrono, mica camminano. sei un'estranea costretta a camminare in un mondo fatto per correre. guardi tutte quelle persone che corrono lungo il tuo percorso, e le invidi. guardi quelli che camminano e non li vedi. torni a casa e hai capito qualcosa di nuovo e di vecchio insieme. devi imparare ad aspettare.

sabato 8 giugno 2013

run baby run - day 3

la mia gamba sinistra inizia a fare male non appena usciamo per andare a correre, e smette non appena capisce che stiamo tornando a casa. più che andare a correre, sembra di portare un cane dal veterinario.
oggi ho imparato che la rabbia è un sentimento che ben si associa al correre, soprattutto se si sta cercando di stemperarla. si deve solo stare attenti a non strafare, perché si deve correre tanto, davvero tanto, e davvero forte, per gestire certa rabbia. 
comunque, corri e non ci pensi, o se ci pensi lo attutisci col rumore delle scarpe sulla strada, lo svapori nel respiro più veloce, lo diluisci nel sapore di ferro che ti sale in gola. corri e devi già contrastare l'aria, e devi già affrontare la durezza dell'asfalto, e devi già fare forza sui muscoli che sono stanchi e le ginocchia che cedono e il fiato che manca. ma soprattutto, corri e ce la fai. stai correndo più dell'altra volta, ed è più facile. stai sostenendo più distanza e più velocità. corri e pensi che affronterai anche questa. corri e ti ricordi perché, da un giorno all'altro, hai deciso di correre. non è che la rabbia passa, in effetti. cambia. è come se affrontasse l'attrito dell'aria e la durezza dell'asfalto anche lei, e si trasformasse. in qualcosa che non ti fa male, anzi; ti fa bene portartela dietro, camminarci insieme verso casa. ti fa bene sapere che c'è, e che non te la lasci marcire dentro, la respiri fuori e la usi come energia per correre di più. non è qualcosa che ti ferma. non ti spaventa. e non ti peggiora.

venerdì 7 giugno 2013

cimitero di noi soldati (tam-pù)

Avevano seguito le indicazioni di tre persone e ci erano arrivati, al cimitero. Avevano parcheggiato. Erano scesi dalla macchina. Avevano deciso di concedersi una sigaretta. Aveva iniziato a piovigginare. Pronti? Pronti.
Insomma.
Non c'era un servizio anagrafe. La donna delle pulizie pensava di ricordare dove fosse la tomba, poi si perdeva, chiedeva al giardiniere, anche lui pensava di ricordare ma si perdeva e chiedeva allo scemo del villaggio, lei era la depositaria di cognome e data di morte ed era lei, ogni volta, a dover ripetere a tutti i dati, e seguirli con lo sguardo mentre non trovavano la tomba, e lei guardava ogni lapide sperando di trovarla da sola, sperando che si facesse riconoscere, così, all'improvviso, e sapeva che stava facendo lo stesso anche lui, anche senza guardarlo; ma non la vedeva e le stava crescendo dentro una rabbia sempre più feroce, e quasi ringhiava quando avevano trovato il custode. E il custode aveva trovato la tomba. Non era in terra, ma inumata in una cappella. All'ultimo piano. Li aveva portati lì e li aveva lasciati soli. Davvero soli.
~
E poi, lei aveva guardato più attentamente la tomba, e aveva iniziato, piano, a ridacchiare. E poi a ridere più forte. E lui le aveva lanciato un'occhiata allarmata, tipo, non ti farai venire una crisi isterica qui, eh? No, aveva singhiozzato lei. Guarda la data. La data di nascita.
Si abbassava gli anni. Aveva sempre dichiarato a tutti x anni di meno di quelli che aveva. Dio, un genio. Sei sempre stata un maledetto genio.
E anche lui aveva riso e a quel punto tutto era diventato più facile; in primis, parlare male di quegli idioti di parenti. Degli imbecilli. Ma che foto hanno scelto? Ma dico, vi sembra lei? Ma dove stavi, che facevi quando ti hanno scattato quella foto, i capelli tirati su, tu che li hai sempre portati sciolti, e quell'aria per bene. Non era quella la foto da mettere per ricordarti, amica mia. Bisognava vederti con le tue strepitose minigonne nere, gli occhiali da sole con gli strass, le scarpe con la zeppa, le sigarette sottili.
E poi, non c'è una mensola. Un ripiano. Solo il portafiori coi fiori finti. Ma lei nella borsa aveva una cornice a giorno con dentro una poesia. La casa dei doganieri. Aveva studiato a lungo la situazione e aveva deciso che si poteva incastrare dietro il portafiori. Aveva chiesto a lui, tu soffri di vertigini? No, aveva risposto. Per favore, me l'incastreresti, la poesia, dietro il portafiori? Aveva recuperato la scala, era salito, aveva dato un'occhiata veloce. Aveva letto il titolo e sicuramente l'aveva riconosciuta. Lei la declamava sempre. Loro la prendevano in giro, per questo. E il saluto.
E poi era sceso e si erano concessi alcuni minuti di silenzio, e lei era andata via prima, perché voleva lasciarli un po' da soli. Perché anche la sua amica, potendo, avrebbe scelto l'amore, sull'amicizia. E quindi, è giusto che.
Poi lui l'aveva raggiunta, si erano infilati gli occhiali scuri, erano usciti sotto la pioggia, si erano fumati altre due sigarette, erano saliti in macchina, erano ripartiti. 

martedì 4 giugno 2013

wile e. coyote travestito da road runner, day 2

ricordati che l'essere uscita stamattina tutta pimpante e avere comprato delle scarpe da runner, non fa di te una runner. resti sempre quella che l'ultima volta che ha fatto attività sportiva spontaneamente, è stato cinque anni fa, quando booster ti ha trascinata a forza a una lezione di acquagym. e oltretutto l'uso dell'avverbio "spontaneamente", in questo caso, è alquanto spregiudicato.
ricordati che le scarpe da runner all'inizio ti daranno l'idea che, wow, corrono da sole. errore. corri tu. sempre quella della prima e ultima lezione di acquagym della sua vita cinque anni fa.
ricordati che hai questa lieve tendenza ad affrontare le cose partendo in quarta, il che rende molto probabile il fatto che domattina sarai costretta ad affrontarle in retromarcia, a cominciare dallo scendere dal letto. 
ricordati che quello strano segnetto di allarme sulle previsioni meteo del giornale, quando c'è il sole e l'umidità al millemila per cento, vuol dire che forse era meglio scegliere un altro orario.
ricordati che mentre si corre si guarda avanti, non ci si distrae a guardare quel tipo affascinantissimo che corre in direzione opposta, perché stai correndo su un marciapiede pieno di alberi e di pali.
ok, sorella, era il secondo giorno. hai imparato un bel po' di cose. ci vediamo domani.

lunedì 3 giugno 2013

run baby run

pare che correre faccia bene all'umore. pare che stimoli la produzione di endorfine, o qualcosa del genere. sì, certo, pare faccia bene anche al fisico e faccia dimagrire; ma se si passano le proprie giornate a fumarsi "anche i sacchetti profumabiancheria" (cit. pennuta), a bere tutto ciò che si riesce a contenere senza autoannegarsi, e si è una taglia sottopeso, presumibilmente la reazione più spontanea al "correre fa bene al fisico" non può che essere, "frankly, my dear, i don't give a damn".
comunque, ho passato gli ultimi mesi ad osservare i corridori del quartiere-paese. a parte che non avevano poi l'aria così felice (ma questo potrebbe dipendere dal fatto che il quartiere-paese è sprovvisto di tratti pianeggianti più lunghi di tre metri), sono rimasta affascinata dall'abbigliamento. cioè, sono rimasta affascinata dal mio essere naturalmente sprovvista di qualsiasi cosa potrebbe qualificarmi anche solo lontanamente come loro collega, dalla tuta alle scarpe adatte a più o meno tutto. l'unica cosa che ho in comune con loro è l'ipod. ma io non giro mai con l'ipod; a me piace il suono del mondo. gli auricolari nelle orecchie me li metto a casa, quando il mio personale mondo suona male. ogni tanto stona, capita.
insomma, io nella mia vita, fino a stamattina, non avevo mai corso per correre. avevo corso perché costretta da insegnanti di educazione fisica, o da allenatori di nuoto, o perché poi il prossimo autobus chissà quando passa, o perché per favore signorina mi può aiutare a riprendere il cane.
mi sono vestita in un modo a mio parere comodo ma accettabile. sono uscita. ho raggiunto il posto più simile a una pianura nel raggio di qualche chilometro. mi sono guardata intorno perplessa. ho camminato. ho aspettato che passasse la signora col cane. ho aspettato che passasse il tizio che tanto andava veloce. ho aspettato l'altro signore col cane. ho inspirato. mi sono buttata.
è stato come l'impatto con l'acqua, quando, per un motivo o per l'altro, al mare non ci tornavi da anni. lo sai come si nuota, hai imparato a stare a galla prima che a camminare, e non è un modo di dire. poi hai anche fatto nuoto agonistico. ma sono anni che. e senti la densità dell'acqua e la riconosci, e il corpo va da sé, perché è normale, nuotare. è la cosa più normale del mondo. ed è una delle cose più vicine alla libertà che esistano.
ecco, correre, uguale.

martedì 14 maggio 2013

welcome to 10's

quando ero all'università, ricordo che luce aveva un foglio attaccato su un'anta dell'armadio, che recitava in inglese una serie di considerazioni tra lo sconfortante e l'apocalittico sullo stato dell'ambiente, della salute, dei diritti civili, delle guerre, e si concludeva con, welcome to 90's.
ricordo anche un monologo di paolo rossi, che si concludeva con, gli anni '80 erano anni di merda; ora anche la merda sta prendendo le distanze da noi.
stamattina ho inviato un sms, a seguito di una mail che ho dovuto inoltrare due volte perché la prima non avevo ricevuto risposta, in cui segnalavo che non mi era arrivato un pagamento previsto per fine aprile. questo per quanto riguarda l'azienda a. poi ho chiamato il mio capo all'azienda b, stesso identico motivo, ma lui non poteva stare al telefono perché, non essendo stato a sua volta pagato dall'azienda b, e dovendo versare l'iva tra tre giorni, stava andando a battere cassa all'azienda c.
potrei approfondire il tema e arrivare, tra esperienze personali, amicizie e conoscenze, fino all'azienda z, senza difficoltà. il problema è che alla z al momento ci sono arrivati il mio umore e le mie gonadi.
to 90's, in lovely memory. rip.

sabato 27 aprile 2013

il congresso delle parti molli

nessuno dei pensieri che mi attraversano la mente da qualche giorno in qua, può essere espresso a parole. non dopo tutta la fatica che hanno fatto i miei genitori per darmi un'educazione.
ma tanto basta mettere su la canzone degli eelst. va bene uguale.

domenica 31 marzo 2013

looking for b.

ogni anno, la mattina, non ricordo mai dove spostare le lancette.
ogni anno, la sera, mi stupisco di quanta più luce ci sia.
ogni anno a marzo qualcosa implode.
ogni anno si paga il passaggio ad aprile.
ogni anno c'è qualcosa di nuovo da studiare.
ogni anno non me l'aspetto.
ogni anno la primavera è sempre più un luogo della mente.
ogni anno si rinasce comunque.
ogni anno c'è qualcosa in cui credere di nuovo e qualcuno in cui non credere più.
ogni anno e viceversa.
ogni anno ognuno vuole essere trovato.
ogni anno, tocca cercarlo.

mercoledì 13 febbraio 2013

rocco tanica's birthday

ogni anno, come schroeder con beethoven, ricordo al mondo il compleanno di rocco tanica.
per evitare drammi di drammatica drammaticità, come l'anno in cui schroeder, dopo essere andato in giro con un cartello in mano per settimane per ricordare a tutti il beethoven's birthday, poi se n'è scordato, l'ho memorizzato come sveglia sul cellulare.
quindi io ogni anno, il 13 febbraio, mi sveglio col cellulare che annuncia, compleanno rocco tanica. che comunque è un buon modo di iniziare una giornata.
buon rocco tanica's birthday.

lunedì 11 febbraio 2013

(segnata)

voglia di cambiare tutto completamente, ma senza rabbia e senza traumi, non perché prima era peggio, ma solo perché dopo sarà meglio.

lunedì 21 gennaio 2013

non sottovalutare le conseguenze dell'amore / 22

la barzelletta dei matti e dei 99 cancelli.
ci sono 100 cancelli da scavalcare per fuggire dal manicomio. ma più si va avanti più si è stanchi. sempre più stanchi.
finché, dopo 99 cancelli, ci si arrende. non c'è più forza. e si decide di tornare indietro.
succede esattamente così.

martedì 15 gennaio 2013

non sottovalutare le conseguenze dell'amore / 21

smettere di fumare.
scoprire che ti manca di più negli stessi momenti in cui ti mancano di più le sigarette.
tutte le dipendenze sono uguali.
nel dubbio, ricominciare a fumare.
fa meno male.