mercoledì 27 aprile 2011

aspirina mon amour

domenica un’entità di probabile origine extraterrestre (ufi) si è infiltrata dentro la mia testa, e poi ha passato tre giorni a picconarmi il cranio dall’interno. oggi mi sento molto meglio, riesco addirittura a stare davanti al computer per dieci minuti consecutivi senza quella singolare sensazione di espulsione del cervello attraverso i pori del cuoio capelluto (ok, non è una bella immagine; ma quella che avevo visualizzato prima, su orbite e tappi di champagne, era peggio).
per festeggiare il fatto che riesco a stare in piedi e addirittura muovere qualche passo senza vomitare, sono uscita e sono andata dalla pecora-drago. che non c’era. al suo posto ho trovato quattro leoni bianchi, una manciata di galline e un cartello con su scritto, avevi detto che d’ora in poi te la saresti cavata da sola. ho scritto sotto, hai presente il finale di quella striscia dei peanuts in cui lucy van pelt dichiara al mondo, io sono mia? ecco.
poi, mentre strisciavo attraverso il parchetto dello spaccio per rinnovare le scorte di yogurt al limone e aspirina, mi sono trovata davanti lo spirito di tochiro oyama. gli ho chiesto la sua opinione riguardo quella faccenda dello stare seduti sulla riva del fiume aspettando che passi il cadavere del proprio nemico. mi ha detto che innanzitutto è un ambiente un po’ umido; che il problema non sono tanto i cadaveri che hai di fronte quanto i vivi che hai alle spalle; e che almeno, se proprio non ho niente di più interessante da fare, mi conviene preparare una buona scorta di sake. ho chiesto se il whisky va bene uguale. comunque, ho deciso che è meglio se mi siedo sulla riva del mare, senza aspettare alcunché.

mercoledì 13 aprile 2011

alba. amici comuni recensiscon sconfitte.

alle sei di mattina c’è già luce, nonostante il cielo sia coperto. tira vento. preparo il caffè, guardo fuori dalla finestra. il giovane ulivo che cresce davanti casa mia agita i rami sottili col vento. sembra stia facendo la ola. poi lo osservo meglio; in realtà, sembra stia ballando ymca.
mi sento ancora addosso, in bocca, nello stomaco, il pranzo di ieri. mi spremo un limone. ho un atteggiamento nei confronti dei limoni (sotto forma di yogurt, di alcool, di spremuta pura senza zucchero, soprattutto) che tende a far rabbrividire gli umani. bevo il mio limone spremuto, davanti alla finestra. se non si riesce a disinfettarsi il cuore, almeno si può fare un tentativo con il colon. guardo il vaso dei gerani. passato è stato sconfitto da un parassita, futuro dall’ultima gelata. esattamente come me.
mi telefona la mia amica. in questi giorni mi chiama in continuazione, per controllarmi. la settimana scorsa mi ha telefonato a mezzanotte, per sapere se dormivo. poi mi ha tenuta al telefono per due ore. in effetti, alla fine avevo sonno.
mi chiede, come va. le dico, l’ulivo davanti alla mia finestra sta ballando ymca. siamo a posto, commenta. siamo a posto. sì.

domenica 10 aprile 2011

pavimenti demoliti

ieri sono uscita e sono andata a piazza esedra; piazza della repubblica, per i non romani. ho sfilato con la manifestazione dei precari, da neodisoccupata (per scelta) ex precaria (per scelta di altri), vicino al camion che apriva il corteo. ho ascoltato discorsi sulla cultura, sui giovani, su tutto ciò che dovrebbe essere la base del futuro e invece è lo zerbino del passato. a un certo punto il camion si è fermato per qualche minuto ed io, per evitare la compressione, mi sono infilata nella rientranza del portone di un palazzo. sul portone c’era un foglio attaccato con lo scotch, con una scritta a penna. pavimenti demoliti. prestare la massima attenzione. ho guardato dentro, nell’androne. in effetti non c’era più il pavimento, solo calcinacci. poi ho guardato verso il corteo.
al colosseo, sotto il palco, ho incontrato un collega. mi ha chiesto, dov’è lui? ho fatto un cenno verso la folla, ho detto sorridendo, disperso. vero, disperso, disperso nella folla, ma non lì, e non in quel momento. mi sono allontanata dal collega per evitare altre domande, e dopo pochi metri ho incontrato un amico del disperso. ecco, perfetto. sorrisi, baci, l’imbarazzo di argomenti da evitare. ci salutiamo. decido che ne ho abbastanza di dispersioni, è meglio se me ne vado. torno indietro verso piazza del colosseo, evito il passaggio chiuso verso i fori imperiali, salgo le scalette e sfilo solitaria per colle oppio. pavimenti demoliti. continuo a pensare a quel foglio sul portone. di tutti gli slogan ascoltati, di tutti gli striscioni e i volantini letti, di tutti gli articoli e le opinioni e le analisi, a me resta questo, pavimenti demoliti. la scritta migliore, la più incisiva, il senso definitivo, di tutta la manifestazione.
pavimenti demoliti. esattamente questo.

giovedì 7 aprile 2011

goodbye my friend

sembrano il disegno della retta tangente una circonferenza. perché il tavolino, rotondo, è lì accanto, ma loro hanno sistemato le due sedie da una parte, uno di fronte all’altra. e si stanno vedendo per l’ultima volta e lo sanno, e lo sanno che tutto quello che c’è da dire è adesso, perché non ci sarà un poi.
ma non ce la si può fare, in una, due, tre ore, a chiudere i conti di tanto tempo e tanto amore, tanta distruzione e tanto tradimento. e accennano e sfuggono, e sanno che non possono risolvere e non c’è niente da fare, e poi c’è solo silenzio, e restano uno davanti all’altra, zitti, senza guardarsi se non di sfuggita, senza parlarsi perché vai a trovarle, parole che in tutto questo abbiano un senso.
e poi si sente, scusi?, scusi? e all’inizio la ignorano. ma lei insiste, scusi, ha una sigaretta. e la donna si volta in silenzio, e guarda quasi sconcertata questa tizia che si sta intromettendo con tanta leggerezza. e le vorrebbe parlare, dirle almeno un sì, prego, ma mica ce la fa a farsi uscire una parola, la guarda in silenzio e le allunga il pacchetto e l’accendino, e la tizia forse a quel punto vede e capisce, che proprio non era il caso, ma resta intrappolata lì con loro, in quella loro gabbia che per alcuni istanti sta imprigionando anche lei. e accende la sigaretta con movimenti nervosi, perché adesso vorrebbe proprio sparire, e poi ringrazia e si allontana, e lei a quel punto recupera tutto quello che può racimolare di sé e mormora, prego. e tornano uno di fronte all’altra e per un attimo sorridono, perché fa davvero un po’ ridere la tizia, la sigaretta, l’imbarazzo, la pessima scelta del tempo e dello spazio e delle persone. è stato buffo. e quindi fanno, contemporaneamente, l’ultimo sorriso. ed è peggio.
perché poi alla fine è questo il senso del perdere una persona. che resta uno spazio vuoto, che non sarà mai più riempito da un sorriso sfuggito a entrambi per qualcosa di buffo, buffo nonostante tutto, nonostante in quello che sta succedendo non ci sia nulla di divertente. che insieme, di tutto, non si sorriderà più.