venerdì 31 ottobre 2014

sì sì, mo me lo segno

a saper leggere la mano si impara che la vita è una linea piena di diramazioni, e quindi può anche succedere di finire in una strada che ricorda un film. tipo, non ci resta che piangere; e allora più che aggrapparsi alle tende durante le scene madri ci si dovrà aggrappare agli arazzi medievali; e gli spostamenti saranno molto limitati; e cose apparentemente ovvie non esisteranno più, o ancora, da nessuna parte; e tutto andrà imparato da capo; e succederà più volte di trovarsi davanti qualcuno che dirà, ricordati che devi morire, e la prima reazione sarà, come?, e la seconda reazione sarà, vabbè, e la terza reazione sarà, sì sì, mo me lo segno. 
perché in una sorta di esaltazione di un qualche tenacemente ostinato istinto di sopravvivenza, si impara a sopravvivere anche alla morte, in un certo senso. tenendo tutte le luci accese durante le notti particolarmente buie, e solo quella della cucina quando ci si sente più tranquilli, o sclerando con amiche pazienti che stanno lì tutti i giorni a fare incoraggiamento morale, o imparando l'impensabile su se stessi e la propria capacità di fare ciò che va comunque fatto.
intanto, c'è l'osservarsi dal di fuori con un misto di curiosità, preoccupazione e divertimento, mentre ci si chiede se questa cosa strana che sta succedendo starà causando dei cambiamenti, e quali, e quanto profondi, e se questo progressivo distacco dalle cose noiose e preoccupanti sia sintomo di stanchezza o momentaneo sovraccarico o sia qualcosa di duraturo, e in tal caso forse positivo, forse no. perché al liceo scrivere sulla smemo frasi come carpe diem, non portava davvero effettivi cambiamenti né conseguenze reali di alcun tipo. ma da adulti, capire quella faccenda del quam minimum credula postero, forse invece qualche segno lo lascia.