mercoledì 25 gennaio 2012

incipit 4 - tre mesi prima

come lo quantificano, un buongiorno. come danno valore a una voce. come lo calcolano, l’inizio di ogni giornata. quanto vale la mattina.
aveva pianto. per due settimane. aveva anche vissuto, in qualche modo. aveva parlato, fatto la spesa, pranzato con i suoi amici, piangendo. lacrimando, più che altro. si chiedeva se quel modo di dire, piangere tutte le proprie lacrime, avesse un senso, perché le sue non finivano.
la crepa l’aveva vista. la voce che cambiava, lo sguardo che sfuggiva. si era detta, una fase, poi passa. e invece la crepa si era allargata, e alla fine tutto si era rotto. si erano rotti due anni, senza lasciare cocci da raccogliere. nessun pezzo abbastanza grande da cercare di riattaccarlo. l’ultima immagine che aveva di lui, di spalle, mentre usciva dal cancello del parco. si erano visti per l’ultima volta, per stabilire, dividere, finire. poi lei era rimasta tra gli alberi, e lui era andato via, con quel suo cappotto strano, leggermente incurvato sotto il peso di due anni cancellati e degli ultimi minuti di recriminazioni, accuse, rimpianti.
era la prima voce che sentiva la mattina. avesse dovuto dare un senso a tutto, descrivere il loro rapporto in qualche modo, avrebbe detto, il buongiorno. che si dicevano proprio buongiorno, non ciao, o altro, no, avevano il loro buongiorno, in un tono particolare, codificato.
aveva appena lasciato il suo lavoro. avevano un progetto insieme, loro due. e invece niente. niente vecchio lavoro, niente nuovo progetto. aveva pianto, finché si era fermata e si era guardata attorno. e si era resa conto che non aveva un lavoro, non aveva un soldo, non un passato, non un presente, non un futuro. assolutamente nulla. il nulla è così strano da guardare che a suo modo è affascinante. si era persa a contemplare le macerie già ridotte a sabbia della sua vita. incantata dall’assoluto niente che la circondava. e si era resa conto che non era spaventata. era un vuoto che le toglieva anche le lacrime. le toglieva la paura. le toglieva tutto. la liberava.
non aveva nessun legame. poteva fare quello che voleva, perché non c’era niente da riprendere, niente da continuare, niente da perdere. poteva andare a vivere in giappone, poteva fare l’astronauta. non aveva niente, poteva tutto. libera. si era seduta in mezzo al nulla e si era detta, scegli, decidi, ma senza logica, a istinto. chiudi gli occhi e quello che vedi, quello sarà. aveva chiuso gli occhi, e quello che aveva visto, la prima immagine che le era venuta addosso, era uno sguardo di nove anni prima.
e aveva sorriso, pensando, follia pura. aveva passato la notte a scrivere. aveva telefonato, di prima mattina, alla grande azienda dinosauro. aveva detto buongiorno, a loro. aveva spiegato che doveva contattare il genio, si era qualificata, le avevano dato il numero della segreteria del suo ufficio. aveva chiamato, le aveva risposto la segretaria. aveva detto buongiorno di nuovo, aveva spiegato, ho un progetto da proporre. poi aveva richiamato, qualche giorno dopo, e la segretaria le aveva detto, il genio ha visto il progetto, è entusiasta, ma questo è un periodo così pieno, ora proprio non può vederti, richiama la settimana prossima. e lei aveva richiamato. e la segretaria le aveva di nuovo detto, vuole vederti, ma è un periodaccio, richiama. e lei aveva richiamato. ogni settimana. per due mesi e tre settimane.
finché una mattina, passeggiava in camera da letto con le cuffie dell’ipod nelle orecchie, ascoltava una canzone che diceva non ha più senso pensarti capire provare o sparire, e all’improvviso aveva sentito qualcosa cambiare. si era voltata, aveva visto il cellulare illuminarsi. aveva spento l’ipod, si era tolta le cuffie, aveva ascoltato gli squilli, aveva guardato il numero sul display, un numero di cellulare che non conosceva. aveva seguito il suo cuore rallentare, fermarsi e poi correre. lo sapeva, chi era. prima ancora di rispondere, prima ancora di sentire la sua voce che per la prima volta parlava a lei, che diceva semplicemente il suo nome e cognome, presentandosi come uno qualsiasi, dandole del lei, fissandole un appuntamento per un colloquio di lì a due giorni. lo sapeva. perché, genio, non sei l’unico, qui, che ha una certa come dire telepatia.