martedì 23 dicembre 2014

i find it kind of funny

non lo so. se siamo stati capaci almeno di non fare male, se non di fare bene. se siamo stati in grado di essere carezza di una mano che semplifica, o se abbiamo complicato, e carezza non siamo stati affatto. ma la sera di venerdì me la ricorderò.
(grazie).

domenica 30 novembre 2014

nella città dolente

quando varchi il cancello tutto diventa grigio e i suoni si spengono e tu ne fai parte e ti confondi e ti mischi e ti assembli e non sei cittadina in terra straniera ma parte integrante del tutto. superi il consueto gruppo di vigili che chiacchierano e ridono di risate prive di sonoro e ti muovi sicura lungo le strade di una città che conosci e costeggi gli edifici e punti verso il tuo senza perderti. superi tuoi simili senza osservarli realmente, sai che si stanno muovendo e stanno parlando ma non hanno davvero gesti né voci né identità, sono altri abitanti di questo posto che spegne tutto e conforma e sfuma.
nell'atrio del tuo edificio riconosci i nuovi perché aspettano l'ascensore di sinistra che non arriverà mai, è fermo da chissà quanto tempo all'ultimo piano, settimane, mesi, nessuno ha mai messo il cartello guasto. l'ascensore di destra in genere è un via vai di barelle, lasci passare quella appena scesa dall'ambulanza all'ingresso, routine. raggiungi le scale interne e prendi l'ascensore degli specializzandi, è vuoto, sali, hai una nuova dottoressa, la tua è in malattia.
ti guarda la grande macchia viola sulla pancia. la tua pancia ha tollerato trenta iniezioni, alla trentunesima non ce l'ha più fatta, il risultato è stato la grande macchia viola. ti dice che sei migliorata. ti dice che ti sospende le iniezioni. ti dice che ti passa a una terapia orale per trenta giorni. la guardi incredula. niente più iniezioni, ti chiedi. ti spiega quante compresse devi prendere, quante volte al giorno, niente più iniezioni, le chiedi, lei conferma, va avanti, ti spiega quando devi tornare, niente più iniezioni, ti ripeti, esci, la dottoressa e il primario parlano della tua operazione, non ti interessa, niente più iniezioni, senti solo questo.
prendi l'ascensore degli specializzandi e scendi e hai un'incertezza e percepisci che sei in qualche modo scollegata e qualcosa ha spezzato in parte per un attimo il legame con questo posto e parli al telefono e ridi e sei distratta e non capisci esattamente quando è stato che hanno inventato il colore e quando riattacchi scopri le tonalità di verde e azzurro e rosa e bianco e ti arriva per la prima volta il sonoro e il sonoro è una donna che piange. piange e parla con un medico e piange senza isterismi senza picchi senza acuti senza nulla che sia strano piange nella normalità come se fosse la sua lingua e più avanti c'è un'altra donna che piange al telefono e tu ridevi al telefono prima e ti chiedi perché all'improvviso la gente piange e capisci che non è all'improvviso, è solo che ti sei staccata leggermente, che quando ne fai parte del tutto non lo noti perché non si nota come anormale qualcuno uguale a te che parla la tua lingua e vive come te. cammini verso l'uscita e noti molto bianco e senti il suono del tuo bastone sull'asfalto e oltrepassi il cancello e non ti volti perché tanto è inutile non stai dicendo addio a nulla e quando tornerai sarà di nuovo grigio e senza sonoro perché le persone saranno diverse e sarà comunque la stessa perduta gente.

venerdì 31 ottobre 2014

sì sì, mo me lo segno

a saper leggere la mano si impara che la vita è una linea piena di diramazioni, e quindi può anche succedere di finire in una strada che ricorda un film. tipo, non ci resta che piangere; e allora più che aggrapparsi alle tende durante le scene madri ci si dovrà aggrappare agli arazzi medievali; e gli spostamenti saranno molto limitati; e cose apparentemente ovvie non esisteranno più, o ancora, da nessuna parte; e tutto andrà imparato da capo; e succederà più volte di trovarsi davanti qualcuno che dirà, ricordati che devi morire, e la prima reazione sarà, come?, e la seconda reazione sarà, vabbè, e la terza reazione sarà, sì sì, mo me lo segno. 
perché in una sorta di esaltazione di un qualche tenacemente ostinato istinto di sopravvivenza, si impara a sopravvivere anche alla morte, in un certo senso. tenendo tutte le luci accese durante le notti particolarmente buie, e solo quella della cucina quando ci si sente più tranquilli, o sclerando con amiche pazienti che stanno lì tutti i giorni a fare incoraggiamento morale, o imparando l'impensabile su se stessi e la propria capacità di fare ciò che va comunque fatto.
intanto, c'è l'osservarsi dal di fuori con un misto di curiosità, preoccupazione e divertimento, mentre ci si chiede se questa cosa strana che sta succedendo starà causando dei cambiamenti, e quali, e quanto profondi, e se questo progressivo distacco dalle cose noiose e preoccupanti sia sintomo di stanchezza o momentaneo sovraccarico o sia qualcosa di duraturo, e in tal caso forse positivo, forse no. perché al liceo scrivere sulla smemo frasi come carpe diem, non portava davvero effettivi cambiamenti né conseguenze reali di alcun tipo. ma da adulti, capire quella faccenda del quam minimum credula postero, forse invece qualche segno lo lascia.

domenica 28 settembre 2014

carezza di una mano che semplifica (elegia - p.conte)

non solo paglia non se ne è andato, ma sta in qualche modo - in qualche mondo - esondando. preso atto che io da sola con coldi non me la cavo un granché bene, ci ha pensato lui a fare in aria un incantesimo. non so bene che ne pensi, o che ne abbia pensato, paglia, della passione di certi musicisti per la sordina. io quella per sax non la amo molto. ma paglia prende i musicisti per quelli che sono, e la vita per quello che è. prende anche la morte, per quello che è; qualsiasi cosa sia, qualsiasi cosa ne sappia paglia.
nelle ultime due settimane mi ha accompagnata per ambulatori, studi medici e pure un pronto soccorso. ha trovato alquanto divertente vedere come il mio rapporto da sempre piuttosto conflittuale con il compleanno abbia preso una certa consistenza materiale. l'ultima volta che, da vivo, paglia è entrato in un pronto soccorso, era solo ed era morto, ma di questo non parla più. però andare in giro con lui è, in qualche modo, rassicurante; ed è, in qualche modo, carezza di una mano che semplifica.
per me l'ultimo mese è stato più sereno. ho finito di raccontare una storia nel punto in cui iniziava, mi sono concessa alcune cose, mi sono sentita a volte un po' al sicuro. ho ricominciato ad osservare le persone quando hanno paura. quando stanno male e quando non hanno niente. le persone quando hanno paura, quando stanno male e quando non hanno niente, sono più umane di tutti gli umani. le persone quando hanno paura, quando stanno male e quando non hanno niente, si adattano per sopravvivere, e adattarsi per sopravvivere è la cosa più umana di tutte.

domenica 31 agosto 2014

welcome back

non parto mai ad agosto. ogni anno assisto al progressivo svuotamento del palazzo, del quartiere-paese e della mia rete sociale all'inizio del mese, al progressivo riempimento del palazzo, del quartiere-paese e della mia rete sociale alla fine del mese. ogni anno suddivido agosto in tre periodi: prima settimana, qualcuno c'è e qualcuno no; le due settimane a cavallo di ferragosto, non c'è nessuno; la settimana finale, qualcuno c'è e qualcuno no. ogni anno osservo quanto sto rimanendo sola, quanto sto rimanendo meno sola. ogni anno a un certo punto mi sento sola davvero, aspetto l'ultima settimana e poi tiro un sospiro di sollievo. ogni anno. quest'anno no.
quest'anno non ho aspettato che qualcuno tornasse. perché sapevo che qualcuno non sarebbe tornato. quando sai che qualcuno non torna, quando lo sai ma lo stai ancora rielaborando, quando sai che non puoi chiedere a qualcuno di specifico qualcosa di specifico che avrebbe sicuramente saputo, quando sai che anche se diluvierà non ci sarà qualcuno di specifico a chiamarti e chiederti se puoi prendere la copia delle chiavi e andare a casa sua a controllare se ha chiuso la finestra dello studio, quando non ce l'hai nemmeno più la copia delle chiavi, quando sai che qualcuno non torna non fai caso a chi va e chi torna. quando sai che c'è una parte della tua vita in cui sei rimasta sola e basta, non fai molto caso all'essere rimasta sola per un mese. poi comunque le persone partono e tornano a priori, che tu ci faccia caso o no, che tu suddivida i mesi in tre parti o li lasci scorrere.
comunque sono tornati tutti. quasi. più o meno.

martedì 8 luglio 2014

alcolico e nuovi merletti

a circa due metri dalla finestra della mia camera da letto, su un albero di specie sconosciuta (la classificazione scientifica è "albero di quelli del piano terra che non lo potano mai e tra un po' mi entra in casa"), c'è un nido di merli. qualche giorno fa si sono schiuse le uova e sono spuntati fuori tre merletti. sono tre giorni che vivo in contemplazione dei merletti.
sono grigiastri, lanuginosi, rachiticucci, e al posto del becco hanno una voragine arancione grande la metà di loro. il loro tempo è un ciclo continuo di, quiete, avvistamento della madre in arrivo al nido, strepito infernale, atterraggio della madre, saltellamenti strepiti e sbattere di alucce per essere imboccati, ulteriore strepito quando la madre vola via, un secondo di osservazione perplessa e silente dell'orizzonte privo di madre, abbiocco istantaneo. la madre ogni tanto si prende un minuto per sé, passeggia sulla ringhiera e assume la tipica espressione, se fanno così adesso, non oso immaginare quando saranno adolescenti.
non è molto facile distinguerli uno dall'altro. innanzitutto, crescono a una velocità assurda. tipo, guarda quanto saltellano, sembra ieri che non erano nemmeno capaci di muovere le alucce. in effetti, era ieri. poi, obbiettivamente, sono robetti grigiastri sormontati da voragini arancioni, non hanno altre caratteristiche molto particolari. tranne uno. che ha una cresta punk.
quindi ho pensato che potrebbero essere musicisti. un trio punk. che quello che io chiamo strepitare, loro lo chiamano il ritmo della sala prove. e che i cicli strepito-abbiocco potrebbero essere dovuti all'alcool che si scolano quando la madre è via. sto pensando che potrei registrarli sull'ipod e chiamare il gruppo, "alcolico e nuovi merletti". secondo me fa abbastanza british punk.

lunedì 16 giugno 2014

summertime

...and the livin' is easy. fish are jumping, and the cotton is high...

la primavera è un luogo della mente. l'estate è un luogo che ognuno colloca dove gli pare. 
qui si usa far iniziare l'estate il giorno in cui gatto vomita la prima palla di pelo dell'anno. seguendo delle regole precise: si vomitano palle di pelo solo prima dell'alba, solo sbavando in almeno due posti diversi, solo scegliendo pavimenti che erano stati lavati non più di 24 ore prima, solo accompagnando il tutto con degli ululati che, essendo potenzialmente in grado di svegliare mezzo quartiere, sono sicuramente in grado di svegliare me. infatti mi svegliano. sarebbe preferibile scegliere un momento in cui sono particolarmente in debito di sonno, tipo che sono andata a dormire verso le tre, ma non sempre è possibile, le palle di pelo non stanno ai miei comodi. è meglio se si centrano in pieno scarpe o vestiti lasciati per terra. gatto è l'unico essere che sia capace, in qualche modo, di impormi l'ordine.
quindi, oggi è il primo giorno d'estate. è buio. piove a secchiate. il vento sta facendo sbattere e volare via qualsiasi cosa. ci sono tuoni fortissimi che fanno scattare gli allarmi delle macchine e degli appartamenti. sono tornata a casa due secondi prima che si scatenasse l'inferno, investita da una raffica di foglie, e tra un po' dovrò uscire di nuovo, suppongo in canoa.
ieri pomeriggio, alla fine di tutto questo casino, dalla finestra della cucina si vedeva l'arcobaleno. è stato il primo arcobaleno che ho visto da tanto, tantissimo tempo.
è una figata assoluta, l'arcobaleno.

...so hush, little baby, and don't you cry.
(g. gershwin).

giovedì 29 maggio 2014

parlami d'amore nonostante la stagione che verrà

che tu me l'abbia detto perché sapevi che non sarei cambiata; o perché pensavi che non avrei sofferto. e, in questo caso, sbagliavi.
o perché immaginavi, o speravi, che sarebbe stata più forte, e più visibile, anche per me, l'ombra di una donna che si affrettava verso i suoi alloggi. e materiali, tangibili, le loro lettere. e gli inviti, i compleanni, le richieste. biglietti che il tempo ha conservato senza rispettarle.
tanto lontane da casa, entrambe. così sole, quasi parte del bagaglio di una carriera in fieri, certo non la loro. in un posto così assurdo, ai confini del mondo. e freddo. roccioso. inutile, ai loro occhi.
avere una data di scadenza. oltre la quale non c'è più niente che si possa fare. è glaciale. e sarà questa, la loro storia. e comunque parleranno d'amore. nonostante la stagione che verrà.

lunedì 28 aprile 2014

il canone di pachelbel è prog

i primi tempi con coldi non sono stati facilissimi. a parte il lieve problema di sovraffollamento che c'è nel soggiorno, è che io non sono abituata a inventarmi entità invisibili. arrivano da sole. non ce l'ho mica, tutta 'sta fantasia. quindi all'inizio ho fatto fatica, soprattutto il primo giorno, quando, dopo che avevo passato ore a dare a coldi una statura sopra il metro e ottanta, gli occhi azzurri e un look sensato-alternativo (che può sembrare una contraddizione in termini, ma in effetti il concetto di sensato è alquanto soggettivo), all'improvviso è arrivata la vicina del piano di sopra per fare un po' di taglia e cuci condominiale, e coldi si è letteralmente dissolto. dimostrando, in questo, una certa verosimiglianza con un uomo vero.
nei giorni successivi ho fatto finta di scordarmene, e ho ricominciato a lavorarci solo dopo una solenne cazziata di paglia, che sono due mesi che è nervosetto perché questa faccenda di fare lo spirito guida di uno che nemmeno lo vede lo sta irritando non poco. alla fine ho creato un coldi che mi pareva accettabile, l'ho portato dalla pecora-drago per presentarglielo, lei ha guardato nel vuoto e ha commentato, io non vedo nessuno. la pecora-drago a volte è veramente bastarda inside.
poi qualche giorno fa ho combinato un piccolo guaio dei miei soliti, mi sono chiesta se, niente niente, mi stessi comportando in modo sbagliato, mi sono voltata e mi sono trovata davanti coldi in, beh, non direi proprio carne e ossa, diciamo, colori ed essenza. gli ho chiesto, sto sbagliando? ha risposto, sì.
allora l'ho riportato dalla pecora-drago, che gli ha tirato un'occhiata di straforo e ha detto, occhi azzurri, eh? sì, mi piacciono gli occhi azzurri, allora?
mentre tornavamo a casa, ho spiegato a coldi che secondo me il canone di pachelbel è prog. lui ci ha pensato su, poi ha detto che gli piace la mia concezione della musica sincronica e non diacronica. io ho risposto, mh mh. mentre era sotto la doccia ho fatto una ricerca per capire che diamine avesse detto. io gli uomini non li capisco nemmeno quando me li invento io.

sabato 22 marzo 2014

o forse sei solo più involtolata

la pecora-drago sospira, ancora tu. chiedo, sembro più giovane? no. beh, nemmeno tu sei più simpatica.
le spiego che mi sono un po' incartata. involtolata, direi. involtolarsi è un modo di incasinarsi quando suoni il pianoforte. ok, non è esattamente un termine tecnico. è che c'è questo strumento molto molto largo (a seconda del tipo, può essere molto molto corto o molto molto lungo, ma è sempre, comunque, molto molto largo). ha un sacco di tasti. non si direbbe, ma sono ben 88. a passeggiarseli tutti, su e giù, possono succedere varie cose. si può sbagliare tasto. si può perdere ritmo. o ci si può involtolare. non sei esattamente né fuori musica né fuori tempo. sei involtolato. perché i tasti sono troppi e ti vanno larghi. più o meno. è una sensazione che ti prende al polso destro, in fondo a destra. una volta che sei involtolato, svoltolarsi è un casino. apparentemente, potrebbe anche sembrare tutto normale. puoi continuare a suonare, in qualche modo. potrebbe non accorgersene nessuno. ma tu lo sai, che sei involtolato. e lo sa il tuo polso destro. e, soprattutto, lo sa il piano.
dice la pecora-drago che sono involtolata sì. dice che devo confrontarmi con qualcuno. che devo far apparire qualcuno in soggiorno. a me quest'idea di far apparire qualcuno in soggiorno non sembra proprio geniale. voglio dire, ci sono già her ladyship, il grande spirito del bradipo, paglia, anubi, l'elefantino viola, l'unicorno rosa invisibile, l'albero di natale nano, il bastone della pioggia, la poltrona verde, etcetera etcetera. io non la sento mica, tutta questa mancanza di qualcun altro nel mio soggiorno.
dice la pecora-drago, che c'entra. quelli sono reali. dice, devi far apparire qualcuno di inventato da te, in soggiorno. dice, ti ricordi quando andavi in giro con i fidanzati invisibili, hans, max, o come diamine si chiamavano? ecco, una roba così. tu domani ti svegli e dentro casa hai qualcuno che ti sei inventata tu, una volta tanto, e che non è apparso da solo. e ti ci confronti, tutto il tempo.
sarà. torno a casa e sul bracciolo del divano c'è paglia, lo spirito guida di uno che non se lo fila, e quindi per il momento vive da me. gli racconto, la pecora-drago, l'involtolamento, il tizio inventato. paglia annuisce. non gli sembra per niente male, come idea. mi chiede, come pensi di chiamarlo? gli dico, coldi. lo si chiama coldi. e lo si fa apparire domattina. chiedo a paglia se secondo lui domattina devo preparare la colazione anche per coldi. mi risponde, non dire sciocchezze. non è mica reale, lui. giusto. non è mica reale, lui.

mercoledì 26 febbraio 2014

about love and indifference

credo che l'unica spiegazione sia che sono convinte di vivere nell'emisfero australe. sono piante grasse, dovrebbero sopportare il freddo peggio di tutte le altre piante, e invece ogni anno fioriscono a dicembre. stamattina sono uscita sul terrazzo ad osservarle. sono uno splendore. fiori bianchi a mazzi, foglie verdissime, tutto un tripudio di primavera. io una volta pensavo che la primavera fosse un luogo della mente. ora ho il sospetto che sia un non luogo.
ogni tanto sento qualcuno dire, o leggo, o ascolto in tv o al cinema, che la sofferenza di un amore finito è qualcosa che ti fa sentire vivo. c'è gente che dice che gli manca, quella sensazione. perché è così viva, dicono. ieri notte ho avuto un mal di stomaco così forte come non ne avevo da un bel po', uno di quelli con i crampi, dolore puro. non è che mi abbia fatta sentire molto viva. più sul moribondo, direi.
mi sono infilata sotto il piumone nella speranza che prima o poi passasse in modo incruento. l'ipod installato tra i miei neuroni ha messo in loop 1969 di the niro. di notte, sotto il piumone, con i crampi, a pensare alla gente che si sente viva solo quando soffre per amore, e a ripetermi tra le sinapsi, stati uniti mai più.
credo che sia una canzone bellissima. ho smesso da anni di interrogarmi sulle logiche di sanremo, per cui a volte nelle nuove proposte trovo artisti di cui conosco più o meno tutte le canzoni, mentre a leggere l'elenco dei big sto lì a chiedermi, e questo chi minchia è. presumo sia colpa mia.
mi sono chiesta da quanto tempo non soffro per amore. mica tanto. anzi, relativamente poco. però già non me lo ricordo quasi più. senza quasi. il quasi l'ho messo in automatico per il senso di colpa. per tutti quei sentimenti e quei sogni e quell'energia che erano così tanto, e che sono diventati così niente. una specie di emisfero australe dei sentimenti. deve essere quella gravità che schiaccia il mondo e rende distanti.

giovedì 13 febbraio 2014

27 giorni al compleanno di james taylor

oggi è il quarantaquattresimo giorno dell'anno. 
due giorni fa qualcuno è capitato qui cercando su gugl "compleanno rocco tanica", che nel quarantaduesimo giorno dell'anno mi sembra un'ottima versione della risposta definitiva alla domanda sulla vita l'universo e tutto quanto. comunque, poiché era in anticipo di due giorni, è incappato nel post dell'anno scorso. chiunque tu sia, presumo che leggerai questo post l'anno prossimo. però, siccome sembri uno che si muove d'anticipo, ho pensato, magari tra venticinque giorni cerca "compleanno james taylor", e ho pensato di farmi trovare pronta.
non ho idea di quanti giorni manchino al compleanno di beethoven. sicuramente schroeder lo sa. o scroider, come diceva da piccolo uno di cui oggi è il compleanno. 

martedì 11 febbraio 2014

42

oggi è il quarantaduesimo giorno dell'anno. dovessero anche arrivarmi risposte sulla vita l'universo e tutto quanto, io continuo a non sapere le domande. 
comunque, nel giorno numero 42, c'è gente che compie gli anni. è gente che si diverte assai quando gli si dedica un post sul blog, e quindi, auguri, pacchi di auguri, come è stato detto.
in dimensioni parallele, c'è qualcuno che oggi fa una telefonata. una telefonata che cambia la vita a qualcun altro. che cambia anche la morte, a qualcun altro. nelle dimensioni parallele succede di tutto.
in questa dimensione, c'è qualcuno che questo giorno di qualche mese fa ha fatto una telefonata. sul cambiare la vita a qualcun altro, quello dipende tutto dal qualcun altro. il qualcun altro è ancora grato e felice per quelli che sono stati i trenta minuti e qualcosa tra i più spettacolari della sua vita. il qualcun altro nel frattempo aveva già imparato che anche quando la gente ti telefona, poi la tua vita devi tenerla in rotta tu, altrimenti cappotti, come minimo. il qualcun altro però ha imparato che imparare è andare avanti anche se ne sai meno, non è restare bloccati o tornare indietro convinti che se ne sa di più. quindi il qualcun altro del suo essere grato e felice non ha paura. 
oggi è il quarantaduesimo giorno dell'anno e io non so le domande, non ho le risposte, piove, qualcuno se ne è andato, qualcuno è arrivato, qualcuno ha telefonato, qualcuno non telefonerà mai più, qualcuno ha scritto, qualcuno no, qualcuno ha comprato un libro per me, qualcuno mi ha regalato una macchina fotografica, qualcuno forse mi ha dimenticata, qualcuno forse crede che io abbia dimenticato, qualcuno aspetta sul divano che si parta. partiamo. facciamo l'autostop. abbiamo un asciugamano e sappiamo che esiste una nave con un motore a improbabilità infinita. sta già funzionando.

domenica 9 febbraio 2014

dostoevskij, plushenko

non mi ricordo con sicurezza quale sia stato il primo. credo, le notti bianche; ho la vaga memoria di averlo trovato nella libreria di mia nonna, forse durante le feste di un qualche natale di quando ero piccola. quale che sia stato il primo romanzo russo, so quello che ho pensato ogni volta che ne ho letto uno: che io, dei russi, non riuscivo a capire niente. non che non mi piacessero. li ho adorati. da poco ho letto limonov, nel senso i libri di, e nel senso il libro su, ed è sempre la stessa storia: io, dei russi (russi, poi sovietici, poi di nuovo russi), non riesco a capire niente. la storia russa. la letteratura russa. ma anche la gastronomia russa, la personalità russa, l'architettura russa. la russia, insomma. anni fa sono stata sfiorata dall'idea di studiare il russo, poi ho optato per il giapponese perché invece i giapponesi, pur avendoli studiati meno, pur avendoli letti meno, pur essendomene, in effetti, interessata meno, li capisco. prima o poi studierò il russo.
oggi ho dato un'occhiata al canale su cui trasmettono le olimpiadi invernali. c'era il pattinaggio artistico su ghiaccio. mi sono fermata e ho aspettato. finché è arrivato. evgenij viktorovič pljuščenko. e l'ho osservato, come ho fatto per anni, da sempre, dalla prima volta che l'ho visto sul ghiaccio, da quando ancora i miei pattinatori preferiti erano altri, da quando ancora mi stava pure un po' antipatico, da quando ancora facevo fatica ad ammettere che nessuno aveva mai pattinato come lui. 
ecco, i russi non sono facilissimi da capire, per me. ma c'è una cosa che mi è sempre stata chiara. c'è un tipo di bellezza, di bellezza perfetta, di struggente bellezza perfetta, che è solo loro. non c'è nessun altro al mondo. non c'è nessun altro sognatore, nessun altro maestro, nessun altro zar del ghiaccio. non c'è nulla che separi le notti bianche di dostoevskij dal ghiaccio bianco di plushenko. sono la stessa bellezza.

mercoledì 5 febbraio 2014

parla con lei

cose che ho pensato in questi giorni.
che quella volta che sei partita per madrid, roma si è allagata. e menomale che avevi l'aereo all'alba, mezz'ora dopo e più che in aereo in spagna, saresti dovuta arrivare a fiumicino a nuoto. poi l'acqua ce la siamo sorbita noi, tu sei tornata che era tutto asciutto. bene, qui piove da dieci giorni. coerentemente. sono in arretrato di tre bucati, uno l'ho fatto lo stesso, anche se non si asciuga niente, perché stavolta non torni. e quindi tocca abituarsi all'umidità. che, anche se dovesse piovere per sempre, non è che possiamo smettere di vivere. dobbiamo semplicemente imparare a vivere nella pioggia. e fare i bucati lo stesso. prima o poi si asciugano comunque.
che non vale, che la regina viene tra un paio di mesi. l'anno scorso ci ha dato buca, e viene adesso che non possiamo andare a sventolare le bandierine. lì per lì, quando ho letto che veniva la regina, l'ho presa male. ho pensato, viene adesso che è troppo tardi. ma io non l'ho mai sentito molto mio, il concetto di troppo tardi. che poi, sinceramente, è uno dei miei limiti. fossi capace di capire cose come troppo tardi, fuori tempo massimo, nessun rimedio, mi caccerei in molti meno guai. ma io penso sempre che in fondo domani è un altro giorno. penso sempre che a tutti i casini c'è rimedio. anche se l'ho visto succedere parecchio spesso, che a volte rimedi non ce ne sono. mica mi convinco. quindi andrò a sventolare le bandierine al passaggio di sua maestà. ci andrò da sola. se non piove e non faccio tardi come al solito, guarda, passo pure per il ponte della musica.
che a volte sembra che quando qualcuno va via all'improvviso manchi una protezione. ti dico la verità, in questi giorni sono stata tanto arrabbiata, e io in genere uso la rabbia per sfiatare il dolore. invece mi sono resa conto che stavolta la stavo usando per nascondere la paura. io ho avuto paura. io ho paura. io sono spaventata prima che addolorata. sono spaventata più che arrabbiata. sono spaventata perché, di te, mi fidavo. ma mi fidavo nel senso di affidarmi. io mi fido raramente, non mi affido mai. quella cosa che dicono quelli che mi conoscono, che anche quando chiedo un consiglio, in realtà si capisce che ho già deciso. i tuoi, di consigli, li seguivo. comunque gerundio presente sta bene. continua a non fare fiori. ma va bene, va bene così, ci piace così.
che le persone bilingue parlano in modo buffo. a volte andavi in stallo e traducevi letteralmente, io non penso così. certo che ti capivano in pochi. a volte non ti capivo nemmeno io. passo tantissimo tempo ad ascoltare la radio della zietta e a guardare programmi della zietta sul tubo. anche se non ci andiamo più, a londra. ci vado io. magari mi piazzo a casa di un archeologo. sto guardando centinaia di ore di programmi con archeologi inglesi che fanno cose assurde. che poi, assurde. scavano nel passato e lo rivivono. lo facciamo tutti. loro però li pagano, noi invece paghiamo. non in denaro, in genere. da quando piove un paio di persone mi hanno chiesto se sto lavando le finestre. no. quella è un'altra storia. questa è una storia in cui si cerca e si scava.
comunque, sono fuori, gli archeologi inglesi.

mercoledì 29 gennaio 2014

rielaborazione della gastrite: fase del riso in bianco

la rabbia è un sentimento assolutamente normale nella prima fase della rielaborazione del lutto, dicono gli esperti, e anzi questa fase può protrarsi a lungo, dicono gli esperti, e addirittura sovrapporsi alle fasi successive, dicono gli esperti. ciò che è necessario fare, dicono gli esperti, è trovare una valvola di sfogo che impedisca alla rabbia di indirizzarsi contro terzi danneggiandoli, dicono gli esperti, ma anche che impedisca alla suddetta rabbia di sedimentarsi, dicono gli esperti, il che potrebbe portare la persona che sta tentando di rielaborare il lutto ad accusare disturbi di varia natura etc. etc., dicono gli esperti.
bene. siccome tu questo blog nemmeno sai che esiste. e quindi non sto indirizzando niente contro nessuno danneggiando alcunché. mi limiterò a dire questo. hai presente il casale dove sei andato a portare le ceneri della tua defunta moglie, quel casale che a lei, come hai detto a tutti, piaceva tanto?
ecco. giusto per la cronaca. tua moglie di quel casale ne aveva le gonadi frantumate. tua moglie quel casale avrebbe voluto venderlo, e i soldi usarli per girare il mondo. tua moglie non ci ha mai provato, però. neanche a dirtelo. e sai perché? perché, purtroppo, era perfettamente consapevole di avere sposato uno che, alla sua morte, nemmeno avrebbe saputo cosa diamine farne delle sue ceneri.

sabato 25 gennaio 2014

shooting star

e quindi il ponte della musica lo attraverserò da sola.
e non sventoleremo insieme bandierine al passaggio di sua maestà.
e non chiederemo in giro il numero di telefono di bill.
e non scriveremo a londra per sapere dov'è marco.
e non cucineremo insieme quei cosi di cui neanche ho mai capito bene il nome.
e non potrò fare altro che dedicarti una storia in cui tu hai visto un romanzo.
e non ti saresti stupita a sapere che non ho versato neanche una lacrima.
e che ho solo detto che eri libera.
e poi ho messo un cappotto sulle spalle di blister che tremava.
perché, lo sanno tutti, mi disegnano così.

venerdì 10 gennaio 2014

e a volte la musica non viene più

allora vorrei che mi capissi tu
e guardassi con rabbia insieme a me
tutto il tempo da borghesi perso a coltivar ninfee
senza mai capire gli uomini e le idee.
(roberto vecchioni - irene)