domenica 30 giugno 2013

sunday morning

certe mattine si illuminano presto, ed è un bene, perché hai solo pochi minuti. perché la prima a entrare è l'alba, ma poi arrivano i suoni dentro e i rumori fuori, quello che ti preoccupa e chi taglia la siepe, quello su cui non sai decidere e chi lava il balcone, e le voci sono così invadenti, le altrui e le proprie.
non c'è inquietudine al tuo fianco, forse fantasmi, ma quella è un'altra canzone. e non hai mai ragionato in termini di anni buttati, e neanche di mesi, e hai sempre pensato che tutto porta da qualche parte; del resto vivi in un vicolo, un passaggio stretto tra due mondi, i vicoli sono piccoli tra i palazzi alti, sono bui, mentre ci sei non ti lasciano capire dove stai andando, ed è questo che li rende immensi.
e se hai una sensazione che non vuoi sapere, riguarda altro, e se stai cadendo, è per le strade che non hai attraversato. che ci sono persone che ti chiamano in silenzio, lo vedi, e se non rispondi è perché non sai che dire, in effetti da dire non hai nulla, tu non ti sei spostata, non vai cercata perché ti trovi esattamente dov'eri, e forse il problema è questo. ma non è niente.

venerdì 28 giugno 2013

comunque è una bellissima musica blu

ho una macchia sul plafone.
ora posso far valere tutti i miei millesimi. c'è solo un dettaglio: non ce li ho, i millesimi. la casa non è mia.
a dirla tutta, non ho nemmeno il plafone. la macchia di umidità è sul soffitto.
insomma, io, di tutta la canzone, ho solo la macchia.

martedì 25 giugno 2013

if

presumo che ai tempi di kipling non avessero ancora inventato i freezer, altrimenti avrebbe aggiunto:
se, 
qualsiasi cosa accada, 
qualsiasi problema tu abbia, 
riesci a non dimenticarti 
la vaschetta di gelato al caffè 
nella borsa, 
porcapupazza.

lunedì 24 giugno 2013

fletto i neuroni e sono nel vuoto

il furgone dell'actaf è parcheggiato a pochi metri dal cancello. ovviamente sotto copertura: finge di essere un furgone per la consegna di sushi. figuriamoci. sushi, al quartiere sonnifero-15. sarebbe più credibile il furgone di una ditta di condizionatori d'aria parcheggiato a pochi metri da un igloo. 
del resto anch'io sono sotto copertura, del tutto involontaria. da quando mi sono trasferita al sonnifero-15, si è sparsa la voce che io sia una pittrice. ho mai comprato un pennello? no. tele, acquaragia, colori a tempera, pastelli a olio, pennarelli, matite colorate, gommapane? no. vado in giro macchiata di colore? no. e quindi? dice la cameriera del bar in piazza che a lei l'ha detto il ragazzo della tabaccheria che l'ha sentito dal giornalaio che ne parlava con il marito della parrucchiera che l'ha saputo una volta che l'infermiera del quarto piano è venuta a fare le iniezioni alla suocera. non ho mai smentito; avere una copertura mi torna utile, e nemmeno mi sono dovuta prendere il disturbo di inventarmela.
forse controllano le mie telefonate. nelle ultime ventiquattro ore hanno chiamato, la segretaria del dentista, per disdire un appuntamento causa improvviso impegno del dottore, il mio ex, che ha un problema col gomito del tennista, e stirammira. stirammira è la mia complice oag. ovviamente tra noi parliamo cifrato: in questo momento, per quanto ne so, i computer dell'actaf staranno analizzando la parte di conversazione in cui stirammira si lamenta di dover stirare una camicia da tailleur tutte le sere, per decifrare a cosa corrisponda la parola camicia, il verbo stirare, chi è il tailleur, e per cosa sta tutte le sere. a dire il vero, semplicemente, stirammira odia stirare. capita. anche la parte sul lavare i piatti era del tutto innocente. a noi piace davvero lavare i piatti.
una volta ero un'integrata actaf, prima di essere spostata nella divisione genio. prima che succedesse tutto quello che è successo, e soprattutto, prima di cinque giorni fa, quando stirammira e io siamo diventate operative. 
(tentativo di decompressione - part 1).

domenica 23 giugno 2013

mark the music

sai, madame, quelle persone che non riesci ad associare loro nessuna musica, e ti chiedi com'è, niente, non ti fanno risuonare nemmeno mezza nota, di nessun genere, dal clavicembalo ben temperato a plastic people, dalla marcia trionfale dell'aida a the great gig in the sky, che ti chiedi se ti si sono rotti gli amplificatori, gli auricolari, la puntina, il laser, le testine, che non senti nulla. e poi ci parli e scopri che non ascoltano musica. mai. niente. di nessun tipo. nemmeno musica che direbbe qualcuno non è musica è rumore, nemmeno roba che diresti tu poi se investono su cose così le case discografiche non si lamentassero della crisi e tutto quanto. niente. nessuna. musica.
la gente che niente musica, la gente che niente lettore mp3 lì accanto la mattina, e gli scatoloni con le cassette, e prendersi una pausa e andare a fumare e ascoltare di là, e se mi sento così l'unica cosa che mi aiuta o mi accompagna o mi capisce o, ma anche chiedere alla tabaccaia che stazione è, la musica che ballicchi al bancomat consapevole della telecamera che ti registra ma non puoi farci niente, restare nella corsia del supermercato un minuto di più anche se non ti servono gli omogeneizzati non hai figli ma l'altoparlante è lì e quella ti è sempre piaciuta e la vuoi sentire fino alla fine sì scusi signora mi sposto, insomma, niente. niente tutto il giorno. niente tutti i giorni. toglie il respiro, solo l'idea. è soffocante. pensi a una vita così e ti senti la cassa toracica schiacciata. 
facci caso, madame, che queste persone che non ti fanno venire in mente nessuna musica, è che proprio non ce l'hanno, nessuna musica. facci caso, madame, che queste persone qui, poi, se vai a vedere, domani sarà oggi sarà ieri, nessuna disperazione, al massimo un'astenia sottile e atona, nessuna felicità che esplode, al massimo una soddisfazione cattiva, nessuna ironia, nessuna comprensione, nessuna gentilezza, e se non soffocano è perché non possono. perché già di loro non respirano.
facci caso, che non sono nemmeno cattivi. sono, al più, meschini. sono quelli che rubano i sogni ma poco e male perché non sanno che farsene, quelli che sporcano le idee, quelli che infieriscono sulle persone a terra perché già da seduti per loro si è troppo alti, quelli che non sorridono se solo e soltanto per forma devono ringraziare o chiedere per favore, quelli che non ascoltano, perché non è solo la musica, non ascoltano proprio niente.
The man that hath no music in himself,
Nor is not moved with concord of sweet sounds,
Is fit for treasons, stratagems, and spoils.
The motions of his spirit are dull as night,
And his affections dark as Erebus.
Let no such man be trusted. Mark the music.
(William Shakespeare, The Merchant of Venice)

giovedì 20 giugno 2013

fote, dide

la donna che cammina su e giù lungo il marciapiede, il cellulare contro l'orecchio, una borsa bianca nell'altra mano, l'espressione tesa, quasi disgustata. le passi accanto e la senti dire, voi siete usurai legalizzati; avete condiviso lo stesso metro di asfalto nell'unico momento in cui avevi la possibilità di capire con chi stesse parlando. prosegui, ti chiedi cos'è, il mutuo della casa, un negozio, se ha qualcuno che l'aiuterà, se sta esagerando, se è disperata, se comunque vada ricomincerà da capo, se cederà e andrà ad allungare la lista dei partecipanti al rave per disperati che si tiene sui binari della metro b.
due ragazzine su un muretto, una piange, ho sbagliato tutto, mi daranno sessanta; ti ricordi che oggi c'era la seconda prova della maturità. ai tuoi tempi sessanta era il voto massimo, tu sei uscita con quarantanove, caso unico in tutta la scuola; a riconoscerti che avevi fatto un buon esame, a ricordarti che è stata quasi l'unica cosa buona che tu abbia fatto in cinque anni. è un mondo altro che ha regole che è inutile sminuire e leggi che è sciocco sottovalutare, non c'è rispetto nel dirle non piangere, è una parentesi che sta per chiudersi per sempre, non te ne importerà più; adesso la parentesi per lei è ancora aperta, ci sta dentro, sei tu che sei fuori, l'errore di punteggiatura è tuo, l'errore di punteggiatura sei tu.
l'anoressica bionda che incontri da anni, ancora viva anche se ormai non peserà più di trentacinque, quaranta chili, venti meno di te, ed è alta come te, e tu già sei sottopeso. i cerotti sulle braccia e sulle gambe, scoperte con ostentazione, quelle ossa a sfidarti, questa implacabile battaglia che la consuma e non la spegne, l'occhiata d'odio che ti riserva ogni volta, il velo indifferente che le restituisci tu.
e poi basta, il viale all'una e trenta è deserto, asfalto che ondeggia e giusto un uccello, a sinistra c'è il nulla dei prati, a destra il silenzio, va bene così, se l'umanità deve essere sempre così dolente è meglio non incontrarla, ripensi ai sorrisi cortesi che concedi a tutti, allo sguardo freddo che nascondi dietro gli occhiali scuri, il freddo è meglio di questo dolore che brucia.

mercoledì 19 giugno 2013

ti svegli in letti stranieri, muta d'accento

in genere i testi delle canzoni si toppano in tre modi: hai capito la parola ma quando la canti non si sa perché ne dici un'altra; hai capito la parola ma non il senso della frase; non hai capito la parola.
esempio 1: ed io, modenese volgare, a sudarmi un amore, fosse pure ancestrale. non è ancestrale, è ancillare. non lo so perché io a questo povero innocente di modenese, ogni volta, devo affibbiargli un amore ancestrale. ma poi, vai a sapere; magari gli amori ancestrali rispetto a quelli ancillari hanno un loro perché.
esempio 2: la donna è mobile, dal fiume al vento, muta d'accento e di pensiero. nelle intenzioni del duca di mantova la donna sarebbe mobile qual piuma al vento; ma io lo ascoltavo da piccolissima (sono stata cresciuta da un melomane) e quindi non solo avevo capito dal fiume, complemento di moto da luogo, al vento, moto a luogo, ma avevo anche leggermente frainteso quel muta, prendendolo per un aggettivo. una donna che non stava ferma due secondi, se ne andava su e giù dal fiume al vento, però silenziosissima.
esempio 3: quando è uscito eat the phikis avevo già vent'anni, quindi la giustificazione della minore età non vale. stato a, stato b, a un certo punto la canzone dice, ti svegli in letti stranieri, grazie alla lingua italiana. non riuscivo a capire lingua, non c'era verso. avevo percepito chiaramente la presenza di una elle, di una i e di una u, non è che mancasse molto. riflettendoci su e andando a senso, ho creato questo capolavoro, in fior di metafora: ti svegli in letti stranieri, grazie alla lipu italiana. lipu, lega italiana protezione uccelli. che ci sta, eh. ci sta da dio. prima o poi gli mando un curriculum.

martedì 18 giugno 2013

prima o poi l'amore arriva (s.benni)

(un'ora ad aspettare sotto il sole a picco).
se avete la brillante idea di chiamare un autobus "69", poi quantomeno ogni tanto dovreste farlo venire.

lunedì 17 giugno 2013

ho un ginocchio che mi fa contatto con lo stomaco

odio perdere gli accendini cinque minuti dopo averli comprati. soprattutto se per arrivare dall'allegra tabaccaia del quartiere-paese, che sta a circa trecento metri da casa mia, mi ci vuole mezz'ora. 
una settimana fa mi sono fatta venire una tendinite a un ginocchio. quindi ho iniziato a pesare quasi solo sull'altro, che però già da prima era un ginocchio a sganciamento rapido (gli ortopedici li chiamano problemi ai legamenti, ma non hanno fantasia). quindi ora, sovraccaricato, è diventato un ginocchio a sganciamento rapidissimo e decollo immediato. e comunque non è bello camminare con accompagnamento di clic-cloc, che ti senti il coccodrillo di capitan uncino dopo che ha ingoiato la sveglia. 
nel frattempo, per non annoiarmi, mi sono fatta venire un qualcosa che ha esordito come via di mezzo fra tonsillite otite e laringite, salvo dopo tre giorni prendere la sua decisione definitiva: in effetti si sente una broncotracheite. una settimana di antiinfiammatori assortiti per ginocchia vie respiratorie e tutto quanto è bastata per generare nel mio stomaco uno stato di profonda indignazione.
vorrei poter citare uno dei miei maestri assoluti e dire che mi manca solo il ginocchio della lavandaia, ma in effetti credo che l'allieva abbia superato il maestro: secondo me ce l'ho. chi vuole, affittiamo una barca, recuperiamo un cane, e ce ne andiamo in gita sul tamigi.
(p.s. è il centesimo post, non me n'ero accorta. nel centesimo post ho citato sia gli eelst sia jkj. quando non me ne accorgo, sono un genio).

lunedì 10 giugno 2013

rapidi mutamenti nella psiche di una runner - day 4

il primo giorno che vai a correre ti senti un'idiota. cammini, passeggi, cerchi di darti un tono, aspetti che non ci sia nessuno nel raggio di chilometri, alle persone che tuo malgrado incroci, cerchi di comunicare telepaticamente che, a dispetto di come sei vestita, non stai mica andando a correre. è che quel giorno ti andava di vestirti così. il mondo che ti circonda, ti appare chiaro, è un mondo di persone che camminano, mica corrono. sei un'estranea che pensa di correre in un mondo dove si cammina. guardi tutte quelle persone che camminano e ti sembrano molto più sensate di te. guardi quelli che corrono e ti sembrano alieni. poi ti butti, e corri.
il secondo giorno che vai a correre ti senti a un passo dalla morte. non hai tempo né possibilità di essere imbarazzata, sei completamente concentrata sul fatto che, un altro metro e schioppi.
il terzo giorno che vai a correre, corri e vuoi correre, non fa male, non stai morendo, non te ne frega niente di nessuno, solo di correre.
il quarto giorno che vai a correre, non corri. non corri perché al secondo passo senti che il ginocchio sinistro non regge. non è una questione di fatica, non è una questione di fiato, né di muscoli; di corsa non sai niente, ma di legamenti del ginocchio sì. freni subito. devi camminare, non puoi fare altro che tornartene a casa camminando mestamente. e all'improvviso, il mondo che ti circonda è diverso. il mondo che ti circonda, ti appare chiaro, è un mondo di persone che corrono, mica camminano. sei un'estranea costretta a camminare in un mondo fatto per correre. guardi tutte quelle persone che corrono lungo il tuo percorso, e le invidi. guardi quelli che camminano e non li vedi. torni a casa e hai capito qualcosa di nuovo e di vecchio insieme. devi imparare ad aspettare.

sabato 8 giugno 2013

run baby run - day 3

la mia gamba sinistra inizia a fare male non appena usciamo per andare a correre, e smette non appena capisce che stiamo tornando a casa. più che andare a correre, sembra di portare un cane dal veterinario.
oggi ho imparato che la rabbia è un sentimento che ben si associa al correre, soprattutto se si sta cercando di stemperarla. si deve solo stare attenti a non strafare, perché si deve correre tanto, davvero tanto, e davvero forte, per gestire certa rabbia. 
comunque, corri e non ci pensi, o se ci pensi lo attutisci col rumore delle scarpe sulla strada, lo svapori nel respiro più veloce, lo diluisci nel sapore di ferro che ti sale in gola. corri e devi già contrastare l'aria, e devi già affrontare la durezza dell'asfalto, e devi già fare forza sui muscoli che sono stanchi e le ginocchia che cedono e il fiato che manca. ma soprattutto, corri e ce la fai. stai correndo più dell'altra volta, ed è più facile. stai sostenendo più distanza e più velocità. corri e pensi che affronterai anche questa. corri e ti ricordi perché, da un giorno all'altro, hai deciso di correre. non è che la rabbia passa, in effetti. cambia. è come se affrontasse l'attrito dell'aria e la durezza dell'asfalto anche lei, e si trasformasse. in qualcosa che non ti fa male, anzi; ti fa bene portartela dietro, camminarci insieme verso casa. ti fa bene sapere che c'è, e che non te la lasci marcire dentro, la respiri fuori e la usi come energia per correre di più. non è qualcosa che ti ferma. non ti spaventa. e non ti peggiora.

venerdì 7 giugno 2013

cimitero di noi soldati (tam-pù)

Avevano seguito le indicazioni di tre persone e ci erano arrivati, al cimitero. Avevano parcheggiato. Erano scesi dalla macchina. Avevano deciso di concedersi una sigaretta. Aveva iniziato a piovigginare. Pronti? Pronti.
Insomma.
Non c'era un servizio anagrafe. La donna delle pulizie pensava di ricordare dove fosse la tomba, poi si perdeva, chiedeva al giardiniere, anche lui pensava di ricordare ma si perdeva e chiedeva allo scemo del villaggio, lei era la depositaria di cognome e data di morte ed era lei, ogni volta, a dover ripetere a tutti i dati, e seguirli con lo sguardo mentre non trovavano la tomba, e lei guardava ogni lapide sperando di trovarla da sola, sperando che si facesse riconoscere, così, all'improvviso, e sapeva che stava facendo lo stesso anche lui, anche senza guardarlo; ma non la vedeva e le stava crescendo dentro una rabbia sempre più feroce, e quasi ringhiava quando avevano trovato il custode. E il custode aveva trovato la tomba. Non era in terra, ma inumata in una cappella. All'ultimo piano. Li aveva portati lì e li aveva lasciati soli. Davvero soli.
~
E poi, lei aveva guardato più attentamente la tomba, e aveva iniziato, piano, a ridacchiare. E poi a ridere più forte. E lui le aveva lanciato un'occhiata allarmata, tipo, non ti farai venire una crisi isterica qui, eh? No, aveva singhiozzato lei. Guarda la data. La data di nascita.
Si abbassava gli anni. Aveva sempre dichiarato a tutti x anni di meno di quelli che aveva. Dio, un genio. Sei sempre stata un maledetto genio.
E anche lui aveva riso e a quel punto tutto era diventato più facile; in primis, parlare male di quegli idioti di parenti. Degli imbecilli. Ma che foto hanno scelto? Ma dico, vi sembra lei? Ma dove stavi, che facevi quando ti hanno scattato quella foto, i capelli tirati su, tu che li hai sempre portati sciolti, e quell'aria per bene. Non era quella la foto da mettere per ricordarti, amica mia. Bisognava vederti con le tue strepitose minigonne nere, gli occhiali da sole con gli strass, le scarpe con la zeppa, le sigarette sottili.
E poi, non c'è una mensola. Un ripiano. Solo il portafiori coi fiori finti. Ma lei nella borsa aveva una cornice a giorno con dentro una poesia. La casa dei doganieri. Aveva studiato a lungo la situazione e aveva deciso che si poteva incastrare dietro il portafiori. Aveva chiesto a lui, tu soffri di vertigini? No, aveva risposto. Per favore, me l'incastreresti, la poesia, dietro il portafiori? Aveva recuperato la scala, era salito, aveva dato un'occhiata veloce. Aveva letto il titolo e sicuramente l'aveva riconosciuta. Lei la declamava sempre. Loro la prendevano in giro, per questo. E il saluto.
E poi era sceso e si erano concessi alcuni minuti di silenzio, e lei era andata via prima, perché voleva lasciarli un po' da soli. Perché anche la sua amica, potendo, avrebbe scelto l'amore, sull'amicizia. E quindi, è giusto che.
Poi lui l'aveva raggiunta, si erano infilati gli occhiali scuri, erano usciti sotto la pioggia, si erano fumati altre due sigarette, erano saliti in macchina, erano ripartiti. 

martedì 4 giugno 2013

wile e. coyote travestito da road runner, day 2

ricordati che l'essere uscita stamattina tutta pimpante e avere comprato delle scarpe da runner, non fa di te una runner. resti sempre quella che l'ultima volta che ha fatto attività sportiva spontaneamente, è stato cinque anni fa, quando booster ti ha trascinata a forza a una lezione di acquagym. e oltretutto l'uso dell'avverbio "spontaneamente", in questo caso, è alquanto spregiudicato.
ricordati che le scarpe da runner all'inizio ti daranno l'idea che, wow, corrono da sole. errore. corri tu. sempre quella della prima e ultima lezione di acquagym della sua vita cinque anni fa.
ricordati che hai questa lieve tendenza ad affrontare le cose partendo in quarta, il che rende molto probabile il fatto che domattina sarai costretta ad affrontarle in retromarcia, a cominciare dallo scendere dal letto. 
ricordati che quello strano segnetto di allarme sulle previsioni meteo del giornale, quando c'è il sole e l'umidità al millemila per cento, vuol dire che forse era meglio scegliere un altro orario.
ricordati che mentre si corre si guarda avanti, non ci si distrae a guardare quel tipo affascinantissimo che corre in direzione opposta, perché stai correndo su un marciapiede pieno di alberi e di pali.
ok, sorella, era il secondo giorno. hai imparato un bel po' di cose. ci vediamo domani.

lunedì 3 giugno 2013

run baby run

pare che correre faccia bene all'umore. pare che stimoli la produzione di endorfine, o qualcosa del genere. sì, certo, pare faccia bene anche al fisico e faccia dimagrire; ma se si passano le proprie giornate a fumarsi "anche i sacchetti profumabiancheria" (cit. pennuta), a bere tutto ciò che si riesce a contenere senza autoannegarsi, e si è una taglia sottopeso, presumibilmente la reazione più spontanea al "correre fa bene al fisico" non può che essere, "frankly, my dear, i don't give a damn".
comunque, ho passato gli ultimi mesi ad osservare i corridori del quartiere-paese. a parte che non avevano poi l'aria così felice (ma questo potrebbe dipendere dal fatto che il quartiere-paese è sprovvisto di tratti pianeggianti più lunghi di tre metri), sono rimasta affascinata dall'abbigliamento. cioè, sono rimasta affascinata dal mio essere naturalmente sprovvista di qualsiasi cosa potrebbe qualificarmi anche solo lontanamente come loro collega, dalla tuta alle scarpe adatte a più o meno tutto. l'unica cosa che ho in comune con loro è l'ipod. ma io non giro mai con l'ipod; a me piace il suono del mondo. gli auricolari nelle orecchie me li metto a casa, quando il mio personale mondo suona male. ogni tanto stona, capita.
insomma, io nella mia vita, fino a stamattina, non avevo mai corso per correre. avevo corso perché costretta da insegnanti di educazione fisica, o da allenatori di nuoto, o perché poi il prossimo autobus chissà quando passa, o perché per favore signorina mi può aiutare a riprendere il cane.
mi sono vestita in un modo a mio parere comodo ma accettabile. sono uscita. ho raggiunto il posto più simile a una pianura nel raggio di qualche chilometro. mi sono guardata intorno perplessa. ho camminato. ho aspettato che passasse la signora col cane. ho aspettato che passasse il tizio che tanto andava veloce. ho aspettato l'altro signore col cane. ho inspirato. mi sono buttata.
è stato come l'impatto con l'acqua, quando, per un motivo o per l'altro, al mare non ci tornavi da anni. lo sai come si nuota, hai imparato a stare a galla prima che a camminare, e non è un modo di dire. poi hai anche fatto nuoto agonistico. ma sono anni che. e senti la densità dell'acqua e la riconosci, e il corpo va da sé, perché è normale, nuotare. è la cosa più normale del mondo. ed è una delle cose più vicine alla libertà che esistano.
ecco, correre, uguale.