lunedì 29 luglio 2013

lana di roccia

dice la pecora-drago, il segreto è la lana. dice, guarda me, coperta di lana, ma sto benissimo, mica sbarello per il caldo come te. torno a casa e trovo gatto che dorme su una coperta di lana. quando fanno così mi viene sempre il dubbio che si siano messi d'accordo, tipo, facciamole credere che fanno quaranta gradi e lei deve andare in giro avvolta in un plaid; stupida com'è, capace che lo fa.
peraltro gatto sta facendo la rivisitazione estiva di un due tre stella. i gatti sono abilissimi a un due tre stella, sono sul tavolo della cucina, immobili, ti volti un secondo, e te li ritrovi in corridoio, immobili, chiudi gli occhi un attimo e riappaiono sul divano, immobili. la versione estiva è uguale, solo che si gioca da sdraiati, pancia all'aria e aria sofferente: stanno stremati sulle piastrelle del bagno, immobili, ti volti un attimo e poi li ritrovi nel lavandino della cucina, immobili, chiudi gli occhi e riappaiono accanto alla finestra a pancia all'aria, immobili. ricordano un po' le statue a forma di angeli del doctor who, che in realtà erano cattivissimi alieni che si spostavano quando non guardavi, e se ti toccavano ti spedivano in un'altra epoca (blink, 3x10; non solo fa paurissima ma è anche un doctor-lite, e non dovrebbero essere consentiti i doctor-lite quando si tratta del decimo dottore). comunque, gatto, se lo tocchi in un momento in cui è girato, non ti spedisce in un'altra epoca. solo in un ospedale.
(pronto soccorso oftalmico. triage.
- scusi, non ho capito, chi è che le ha tirato un pugno in un occhio? un matto?
- un gatto.
- un gat...
- ...to.
- gatto?
- gatto. felis silvestris catus. anche detto felis domesticus. beh, domesticus si fa per dire.
- ah, ok, le ha tirato una zampata.
- pugno.
- un pu...
- ...gno.
- che tip...?
- un diretto.
- un gatto?
- gatto.
- un diretto?
- diretto.
- in un occhio?
- occhio.
- ...
- ...
- e... ehm... perché?
- presumo ci si trovi più a suo agio che col gancio, e col montante avrà problemi anatomici, che ne so.
- certo. giusto. sì.).
comunque non lo faccio, non esco col plaid. vado in giro con pantaloni di lino arancioni e canottierina di cotone grigia. non posso mettere quella pervinca. è che la gente, quando se ne va (o quando si fa andare via), si porta via le cose. ma non le cose tipo gli oggetti, i libri, questo era mio, no era mio, era mio e mi ricordo benissimo quando l'ho comprato, giù le zampe da quel ciddì, vabbè guarda è mio ma lo ricompro basta che te ne vai. no, si portano via cose che non puoi ricomprare. 
si portano via il tuo ristorante preferito che di andarci con qualcun altro non te la senti, e di andarci da sola nemmeno, che o il cameriere chiede, o, peggio, ti guarda e non chiede. si portano via i colori, che ora hai tutta una collezione di magliette pervinca ma o non le metti più o dici che sono azzurre. si portano via le canzoni, i migliori album della nostra vita, assolutamente inutilizzabili (a parte benni, "scusami, ho usato la nostra canzone, per una nuova relazione"); tipo io ci ho questo problema con shpalman, ma in effetti è un problema relativo perché trovatemi qualcun altro in tutti i multiversi che sarebbe capace di impostare una relazione su shpalman, poi dire che finisce in un certo determinato modo è fin troppo ovvio. si portano via le parole. le parole, certe parole, non le puoi usare di nuovo. da nessuna parte, in una conversazione, in un racconto, in niente. non puoi.
(non avresti dovuto).
e lo so anch'io che la lana è isolante, grazie, lo so. ma tanto è impossibile isolarsi davvero, dal freddo, dal caldo, dal passato, non ci si isola proprio da niente. tocca aspettare settembre e che l'estate finisca più o meno nature, ma non sono gli anni passati il punto, sono le buche che diventano voragini e tutte le parole rubate.

giovedì 25 luglio 2013

run to milan baby run - day 6, 7, 8

affinità e divergenze tra la compagna booster e noi.
blister è un animale sociale. portatela in una piscina vuota, quello che vedrà nel boschetto della sua fantasia sarà un corso di acquagym pieno di papere starnazzanti, con cui farà amicizia in tre minuti. quello che vedrò io, saranno le corsie per il nuoto libero, vuote, in un orario scelto appositamente affinché in tutta la piscina gli unici esseri viventi siano la sottoscritta e i microorganismi che prosperano nella vaschetta della doccia in corridoio (che tanto scavalco). 
una volta blister è riuscita a trascinarmi a una lezione di acquagym (blister è alta 178 cm, uno più di me; ma pesa circa quindici chili di più. non è grassa: sono quindici chili in più di ossa, muscoli e tirannia. se blister decide che io devo provare una lezione di acquagym, non ho semplicemente scampo); è stata la mia prima e ultima ora di acquagym. in compenso, io una volta le ho dato buca all'ultimo momento, costringendola ad andare a correre da sola. l'ha presa benissimo: mi ha mandato un sms lamentoso subito prima, mi ha telefonato lamentandosi subito dopo, ha continuato a lamentarsi per i due giorni successivi. che io sembri nata appositamente per fare walking e running da sola, ça va sans dire.
però, abbiamo in comune una certa tendenza all'approccio ossessivo-compulsivo alle cose. quindi, ora disponiamo di un coso contacosi che ha ufficializzato che stiamo sui cinque chilometri al giorno, di un programma di allenamento feroce e di uno scopo. lo scopo l'ho individuato io (che non riesco a fare assolutamente niente se non ho una scadenza e una meta): stamattina le ho mandato una mail dicendole che il 13 ottobre a milano c'è la deejay ten, una 10 chilometri non competitiva. e concludendo, si. può. fare! 
chiunque altro mi avrebbe risposto di andare a correre verso il più vicino centro di igiene mentale. lei ha semplicemente risposto, si può fare sì. ha solo mostrato qualche perplessità del tipo, ma perché milano, ma per spiegarglielo avrei dovuto renderle note intenzioni che al momento non ho reso note nemmeno a me stessa. quindi, zitta e corri.

lunedì 22 luglio 2013

we will we will rock you - 3

il secondo album uscì nella prima metà del 1992, cioè nella seconda metà dei suoi sedici anni. lo accolse con una certa sorpresa. la sorprese il fatto che, mentre il primo album lo aveva percepito come una cosa principalmente fra lei e pseudojane, questo qui sembrava stesse avendo un certo successo. servi della gleba passava e ripassava in radio, per quanto in versione censurata. per il resto della sua vita, nonostante avesse la canzone integrale, per lei la vera versione di servi della gleba sarebbe rimasta quella censurata. che poi, ne esistevano parecchie, e una volta si era divertita a fare una cassetta registrando i passaggi nelle radio, con brani in cui c'era solo il classico fischio (d'autore, peraltro), altri in cui scomparivano intere frasi, senza contare che quasi tutte le radio sfumavano il finale. di quell'album le canzoni più amate furono pipppero e servi della gleba; per lei, furono essere donna oggi e uomini col borsello. 
quell'estate venne deportata dai suoi genitori in riviera adriatica. non la prese molto bene. chiunque sia cresciuto sul mare della sicilia, difficilmente ha un buon impatto con quelle file ordinatissime di ombrelloni, quella sabbia invadente, e quel mare su cui si cammina. lei era abituata alla dorsale siciliana tirrenica, tre passi e vai a fondo. e la solitudine. e l'ombrellone più vicino a trenta metri. e nessuno della tua età. e invece quel posto era pieno di ragazzi. era pieno di ragazzi che ascoltavano gli eelst, scoprì sconcertata. venivano da milano, ed erano simpatici, scoprì sempre più sconcertata. e sapevano anche loro rapput a memoria, scoprì trasformata nella quintessenza dello sconcerto. cioè, c'era altra gente oltre lei e pseudojane che conosceva gli eelst, e ci si poteva addirittura fare amicizia.
così fu che a settembre tornò a scuola, riprese il corso di teatro, si guardò allo specchio e si trovò inaspettatamente bella, si guardò intorno e si trovò accanto degli amici. una, soprattutto: aveva tutto patè d'animo; aveva anche il secondo album; la sua canzone preferita era servi della gleba, ma nessuno è perfetto. poi una domenica notte accese il televisore e si innamorò.
nell'autunno del 1992, mentre lei era impegnata a sopravvivere al secondo liceo, a litigare con shakespeare e a scoprire che non era l'unica liceale che ascoltava gli eelst, rai3 mandò in onda per dieci puntate, di domenica in seconda serata, su la testa, con paolo rossi. e lei si innamorò di paolo rossi, in un momento in cui mezza scuola era innamorata di kevin costner. mise momentaneamente da parte gli eelst per adottare, come colonna sonora dei suoi diciassette anni, l'inno dello scarafaggio: odio il mondo, son disperato, son deprivato, da tutti son schiacciato; sono la bestia che non può camminare, perché non tiene marijuana da fumare. più facile da imparare a memoria di rapput, e più in linea con la sua adolescenza. e poi iniziò disperatamente a cercare notizie su paolo rossi, in un'epoca in cui wiki ancora non c'era. eppure ci riuscì, e quello che scoprì fu un universo. scoprì che negli anni '80, gli anni della milano da bere, era esistita una contromilano, di cui loro adolescenti romani non sapevano assolutamente nulla. una contromilano di teatro dell'elfo, di musica, di cabaret, di chiamatemi kowalski, una contromilano bellissima, di cui sapeva che avrebbe sentito la mancanza per sempre (tra le sue specialità, c'era il riuscire ad applicare la nostalgia anche in situazioni mai vissute). e in quella contromilano bellissima, ritrovò il suo gruppo, elio to muzukashii monogatari, molto prima che incidessero il primo singolo, molto prima che lei ne sapesse nulla. anche perché, in effetti, andava alle elementari, in quei tempi lì. 
su la testa fu lo sportello della sua delorean. e fu il dolore, ricordato e ripetuto negli anni, di quell'ultima puntata, di quell'ultimo monologo, di quel finale a chiudere, tutti, tutti i sogni che voi avete portato via ai padri dei nostri padri, noi li rivogliamo, ora, qui, subito.

sabato 20 luglio 2013

non sottovalutare le conseguenze dell'amore - 23

la malinconica bellezza di un elegante addio definitivo, che ti fa sentire tutta la mancanza dei litigiosissimi, aggressivi, sfiancanti, meschini arrivederci temporanei.

giovedì 18 luglio 2013

volare sott'acqua (fabio lubrano, ed. liberaria)

la prima storia che ho letto di fabio lubrano è stata "l'amore è una brutta cosa con un bel nome". il titolo è una citazione da j.k.jerome; non serve aggiungere altro.
poi ho letto "malinverno". all'epoca scrissi, "malinverno è il sognatore delle notti bianche, che cammina nella schiuma dei giorni, solo come un mago baol". non serve aggiungere altro.
poi ho letto "ok, panico!". per chiunque abbia dimestichezza con le crisi di panico, il che vuol dire, ad esempio, ritrovarsi stampati contro un muro, per strada, come nemmeno un manifesto abusivo, non serve aggiungere altro.
ora è uscito, per liberaria, "volare sott'acqua". è una raccolta di racconti. in buona parte già li conoscevo; ieri, in libreria, ne ho letto uno di cui invece non sapevo nulla, e mi sono ritrovata a ridere da sola come una cretina, appoggiata allo scaffale dei testi per l'ammissione alle facoltà a numero chiuso (mi ero spostata per cercare un posto comodo: lo avessi letto nella sezione narrativa, o letteratura umoristica, magari commessi e clienti non mi avrebbero guardata con gli occhi pallati). non servirebbe aggiungere altro.
ma siccome il libro è appena uscito, la casa editrice è giovane, promuovere un romanzo in questo paese è una fatica immane, promuovere una raccolta di racconti è un'immanità faticosa, allora stavolta aggiungo.
premetto che io fabio lo conosco. proprio in carne e ossa, tipo che so quant'è alto, con che voce parla, come sorride. quindi forse non vale. però lo conosco perché l'ho letto. quindi forse vale. e comunque, non è un mio amico, nessuno dei due fa parte di una qualche lobby culturale, e che sto scrivendo questo post nemmeno glielo dico. quindi vale sicuramente.
non lo capisco bene perché in questo paese (ma mica solo in questo) i racconti non tirino per niente. in genere si dice, se ti piace la storia, vorresti che durasse di più; se non ti piace lo stile, non ti piacerà nessun racconto. allora, in primis, non tutte le storie ha senso che durino quanto guerra e pace. come nella vita, più o meno. ci sono storie che sono belle proprio perché durano cinque pagine; a spalmarle su cinquecento, in genere si ottengono disastri. 
poi, una raccolta di racconti (una buona raccolta di racconti) non ti dà un'idea dello stile di un autore. ti dà un'idea degli stili di un autore. un romanzo mostra parecchio dell'anima di una persona, a volte anche decisamente troppo. ma in genere, di quell'anima, è una fotografia, resta bidimensionale. una raccolta di racconti (una buona raccolta di un certo tipo di racconti) invece è come se ricostruisse un'anima in 3d. vedi lo scrittore quando si è svegliato divertito e quando si è alzato che era già stanco; lo guardi fare colazione sfiduciato o entusiasta; lo segui mentre va a lavorare cinico o ingenuo; lo osservi fumare una sigaretta in pausa mentre pensa in silenzio al passato o al futuro; lo accompagni mentre cammina e interagisce con un mondo surreale o spietato. 
in questa raccolta qui, "volare sott'acqua", c'è molto di quello che si era già intravisto, lo humour e l'ansia, il sogno e il buio, l'amore e la solitudine, la tenerezza e la crudeltà, lo splendore e la violenza. e c'è altro. tutta un'anima in 3d. solo un consiglio: evitate di sfogliarlo nel settore test universitari a numero chiuso. davvero.

mercoledì 17 luglio 2013

we will we will rock you - 2

alla fine del quarto ginnasio pseudojane, la sua unica amica, venne bocciata, e cambiò classe. l'anno successivo venne bocciata di nuovo, e cambiò scuola. quindi lei si trovò ad affrontare il primo liceo, e l'improvvisa presa di coscienza da parte di madre natura sul fatto che fino a quel momento era stata parecchio ingiusta nei suoi confronti, e che sarebbe stato il caso di rimediare con urgenza e convinzione, completamente da sola. nel 1991 fece solo due cose di una certa rilevanza. la prima fu iscriversi a un corso di teatro, perché si sa che se sei timida e asociale quello che devi fare è recitazione, così diventi estroversa, carismatica e vinci pure un oscar. anni dopo, si sarebbe ritrovata ancora timida, asociale e inspiegabilmente priva di oscar, ma non si può mai dire. la seconda fu superare l'istintiva ritrosia nei confronti dei testi imparati a memoria. 
aveva sempre mal tollerato tutto quel pressante martellamento sui cipressi che a bolgheri alti e schietti, per non parlare poi dell'ermo colle e dei passeri più disadattati di lei, non provava il minimo interesse nel farsi cantare da chicchessia del pelide achille l'ira funesta, se ne sbatteva di ogni singolo ramo di ogni singolo lago di ogni singola parte del globo, e quello che faceva la gente nel mezzo del cammin della sua vita, e di come dava l'addio ai monti, erano affari della gente e non suoi. ma nel 1991, dopo quindici anni di convinta renitenza all'apprendimento mnemonico, imparò il testo più lungo della sua vita. rapput. e quella volta una domenica d'ottobre già l'autunno ci moriva addosso io fumavo sigarette amare. lo imparò così bene che a distanza di ventidue anni esatti, incuriosita, provò a recitarlo a memoria di nuovo, e scoprì che ancora se lo ricordava. ma tutto. anche la seconda e la terza strofa. ogni singolo scampolo d'assenza, nessuno escluso. da rapput a shakespeare, il passo è breve, e l'anno successivo debuttò come titania, regina delle fate. ventidue anni dopo, di tutto quel lungo sogno di una notte di mezza estate, si ricordò solo, fate, andiamo via, ho rinnegato il suo letto e la sua compagnia. con oberon che presumibilmente pensava, puttana. 
nel 1991 successe anche che mentre guardava in tv il concerto del primo maggio, all'improvviso le venne un dubbio. ventidue anni dopo, mentre guardava in tv il concerto del primo maggio, le venne un altro dubbio. guardare in tv i concerti del primo maggio è un esercizio intellettuale ed emotivo più impegnativo di quanto si direbbe. anche suonarci, probabilmente.

lunedì 15 luglio 2013

walk baby walk - 5

c'è sempre una strana memoria dell'essersi fatti male; un riposizionamento di tutto il corpo non solo quando c'è il dolore, ma anche e soprattutto dopo, quando tutto dovrebbe essere passato. se ti rompi un metatarso, se ti sloghi una caviglia, avrai difficoltà a scendere le scale anche quando ormai tutto sarà ricomposto e la muscolatura sarà tornata a funzionare normalmente. perché, semplicemente, hai paura. è qualcosa di estremamente facile da capire e accettare se hai zoppicato per due mesi; ti guardi scendere i gradini con cautela, alla ricerca di un appoggio, e sai che è normale, che è umano, che poi passa. perché tu non ti riconosca, o non ti conceda di riconoscerti, questo diritto alla memoria del dolore, anche al di fuori dei traumi fisici, è uno dei problemi su cui dovresti lavorare. se qualcosa ti ha fatto male, hai diritto (dovere) al riposo. poi, devi passare un lungo periodo di esercizi di stretching e riscaldamento, senza andare a correre. poi, puoi ripartire con la camminata veloce. poi, puoi correre.
sono in fase camminata veloce, e vado con booster. con booster scopriamo nuovi percorsi, chiacchieriamo un sacco anche se non abbiamo fiato, spettegoliamo su tutto il quartiere-paese e anche qualche quartiere limitrofo, spizziamo i runner, i runner spizzano noi (ognuna di noi in realtà pensa, "spizzano me") (per i non romani, spizzare qualcuno è un modo di guardarlo; ai giocatori di poker sarà abbastanza chiaro, per quanto difficilmente un giocatore di poker ammicchi ai propri assi, e se lo fa, beh, lasciasse perdere il poker, non fa per lui).
la cosa veramente buffa, però, è che, delle due, è booster che ha paura. perché non si è ancora buttata, e non vuole passare dalla camminata veloce al running. io, al solito, annego la paura nell'incoscienza, perché a leggere harry potter ho imparato che la paura peggiore è quella della paura stessa. ci ho grandi maestri filosofici, ebbene sì. riddikulus!

giovedì 11 luglio 2013

pelargonium antiscivolo

il nubifragio delle quattremmezza-cinque ieri è arrivato alle sette e un quarto, oggi anticipa alle tre e tre quarti. è incredibile come qualsiasi entità di qualsiasi tipo, di passaggio a roma, dopo pochi giorni perda completamente il senso della puntualità.
io ho risolto il problema del ricordarmi di annaffiare le piante, e l'ho sostituito con quello del ricordarmi di scolarle. bocca di rosa e via del campo, le due belle di notte più adulte, vanno strizzate ogni mattina. quanto ai gerani, gerundio presente l'ho messo accanto a participio presente perché si renda conto di quanto è bello un geranio che si decide a fare i fiori. in effetti gerundio presente osserva i fiori di participio presente con aria partecipe e ammirata. e si rifiuta categoricamente di mettere su mezzo bocciolo. gerundio presente è arrivato qui già da qualche anno. è stato messo in un vaso più grande, con la terra nuova. è stato concimato e riconcimato. è stato deparassitarizzato con metodi naturali (cioè, mi sono spulciata ogni singola foglia). quando ha nevicato è stato tratto in salvo, portato dentro casa e posizionato nella doccia (con notevole shock di gatto, che dopo anni ancora nemmeno si è ripreso dai pesci antiscivolo; io poi non lo so se è normale un gatto che si affaccia nella doccia, vede i nuovi pesci antiscivolo, fa un salto di mezzo metro e scappa; e, no, non è colpa dei pesci antiscivolo, sono blu e viola e sono molto carini e molto immobili e molto innocui). per il resto non ha problemi, cresce, fa foglie grandi come insalate, emana salute da tutti i pori. 
a un certo punto mi è venuto il dubbio che fosse uno di quei casi tipo, quello che si porta dentro casa il gattino trovato per strada e dopo qualche mese si ritrova la lince in salotto. allora ho approfittato di una visita in città dell'augusta genitrice, che dovrebbe essere qualcosa tipo una biologa botanica o simile allestimento di sillabe, e ho chiesto a lei. lei lo ha esaminato e ha detto, ah, un pelargonium-parola-latina-incomprensibile. io ho esclamato, quindi è vero, non è un geranio!, e lei mi ha guardata con quella tipica espressione di quando si chiede perché, con tutte le culle a disposizione sul pianeta terra, gli extraterrestri che passavano di lì quel giorno abbiano deciso di operare lo scambio proprio con sua figlia.
credo che ogni tanto si faccia venire l'idea di fare causa alla clinica, ma a essere precisi dovrebbe fare causa all'azienda dei trasporti, perché io sono nata con un mese di anticipo e stavo per inaugurare la mia esistenza sul 38/ (linea che negli anni successivi è stata inspiegabilmente abolita), evento che viene ricordato come la mia prima fuga da casa, e come l'unica volta nella mia vita in cui sono arrivata da qualche parte in anticipo. per il resto, le fragole fanno le fragole, io faccio la gvu, il bastone della pioggia giura che con i nubifragi non c'entra niente, l'albero di natale nano ci tiene a ribadire che lui esiste davvero, e chiunque ci viva insieme non può avere il minimo dubbio in proposito.

lunedì 8 luglio 2013

contro, pro

- milano si diverte a fermare la metro quando ci sto io dentro. e lo sa che soffro di claustrofobia. lo fa apposta.
- non potendo più prendere la metro, ho scoperto i tram. sono bellissimi.
- una volta che ho preso un tram a milano, è salito un tizio, ha scrutato tutti i passeggeri uno per uno, alla fine si è voltato verso di me e ha urlato: bladicànt!
- abituata a non capire l'idioma locale, e messa fuori strada dalla pronuncia non proprio perfetta, lì per lì ho pensato che fosse incomprensibile milanese stretto e l'ho ignorato. milano mi regala l'inconsapevolezza.
- a milano ho preso le due più spettacolari tranvate sentimentali della mia vita.
- a milano sono stata amata troppissimo.
- a milano un tizio ha avuto l'ardire di dirmi, seriamente sorpreso: strano, sei meridionale ma non sei piena di peli (roma notoriamente è situata in mezzo a una giungla equatoriale ed è popolata da scimmie).
- ma contro ogni luogo comune, tutti i milanesi sconosciuti con cui ho interagito per strada, perché mi ero persa o che, sono stati di una gentilezza e di una disponibilità commoventi.
- l'ultima volta che sono andata via da milano, sono uscita dalla porta della casa dove stavo, lo zaino era troppo grande e la porta troppo stretta, mi sono incastrata, ho spinto al massimo per riuscire a passare, lo zaino si è disincastrato di botto, sono schizzata in avanti in accelerazione verso la ringhiera del ballatoio del quarto piano; a due centimetri dalla ringhiera, dallo sfondamento della stessa e dalla morte certa per sfracellamento, una delle cinghie dello zaino si è avviluppata intorno alla maniglia della porta e mi ha ritirata indietro con uno strappo, portandomi a spalmarmi di schiena contro la porta e a restarci legata, agitandomi come una tartaruga cappottata.
- era un modo da parte di milano per dirmi che non voleva che andassi via. giusto un po' teatrale, ecco.
- a milano non hanno un buon rapporto col verde pubblico.
- però ci fanno su delle gran belle canzoni.
- non hanno nemmeno un gran rapporto col concetto di stare seduti all'aperto a non far niente, col concetto di non far niente, di stare seduti, di all'aperto.
- ma una volta che hai scoperto che puoi sederti a piazza dei mercanti, non te ne andresti più.
- a milano il cielo è quasi sempre color milano.
- fa pendant col resto della città. è un tocco di classe.
- la città è dura. fredda. piena di spigoli. fa male, a chi viene da una città morbida, temperata, piena di curve.
- è esattamente quello che ti serve adesso. imparare da capo a sopravvivere alla durezza, al freddo, agli spigoli, e riuscire a vederne comunque la bellezza.
- roma è roma.
- ed è eterna. puoi tornare quando vuoi. e per lei non sarà passato neanche un secondo.

venerdì 5 luglio 2013

we will we will rock you - 1

gliel'avessero detto all'epoca, che ventitré anni dopo, a guardare il video di amore amorissimo, avrebbe reagito in quel modo, avrebbe iniziato già da allora a mettere da parte i soldi per lo psichiatra.
quella mattina avevano fatto sega a scuola, lei e pseudojane. avevano gironzolato per un po’ in centro sotto gli sguardi di disapprovazione degli adulti, perché se è mattina, se dimostri intorno ai dodici-tredici-quattordici anni, se vaghi in centro senza scopo, hai chiaramente fatto sega a scuola, e ciò non sta bene. se in più la tua migliore amica è vestita come robert smith in un giorno in cui gli gira particolarmente male, e tu sembri prelevata dalle comparse di hair, difficilmente gli sguardi saranno più benevoli. era il 1989. sembra niente a dirlo adesso, ma il mondo era diverso, e gli sguardi pure.
alla fine erano andate a casa di pseudojane. erano le case popolari del tufello parte di sotto. le aveva sempre trovate molto più eleganti delle case popolari di tufello parte di sopra. appena entrate si erano imbattute nel fratello di pseudojane, in pigiama. sega pure lui. una giornatona, per l’educazione scolastica. in camera, pseudojane aveva estratto da fuori campo (presumibilmente da sotto il tavolo, ma nei suoi ricordi si materializzava da fuori campo) l’accrocco registratore. e aveva detto, devi assolutamente ascoltare questa, è appena uscita. e loro sono bravissimi, genio puro. ventitré anni dopo avrebbe pensato che quella era stata la prima volta, di successivi futuri milioni, in cui li aveva sentiti associati alla parola genio. e dei successivi milioni, quel genio lì, detto da una ragazzina, è stato di gran lunga il più sincero.
era pseudojane che si occupava della sua educazione musicale. e di un bel po’ di altre cose. era la sua unica amica; lei all’epoca era piccola, non solo in senso anagrafico, ma anche rispetto alla sua età. era timidissima. totalmente asociale. ed era anche bruttina. era un tipico caso di tapparella inside, non fosse che per ascoltare tapparella mancavano ancora sei anni e mezzo.
questa è l’unica canzone di cui tuttora si ricordi in modo così nitido la prima volta in cui l’ha sentita. la parete della stanza col poster dei boschi, chiara premonizione di parco sempione, avrebbe pensato poi. l’accrocco registratore posato con cura sul tavolo. l’orgoglio sul viso di pseudojane, che dopo averle trasmesso tutta una cultura a base di cure, cult, bauhaus, david bowie, diciassette re, ricevendo in cambio il suo entusiasmo assoluto e sincero per bowie, cure e cult, e una certa perplessità per litfiba e bauhaus, si stava giocando l’asso. i genii.
ci fu un piccolo intoppo nella comprensione del titolo. le servì qualche secondo per capirlo in italiano. anni dopo, avrebbe provato a tradurlo in giapponese, senza riuscire a ottenere da nessun giapponese la conferma se la traduzione fosse esatta o no. provateci voi, a spiegare a un giapponese, in uno pseudoesperanto a base di italiano inglese giapponese, nubi di ieri sul nostro domani odierno. anni dopo, avrebbe anche deciso che, per quanto filologicamente del tutto scorretta, per lei la traduzione del loro nome in giap era elio to muzukashii monogatari. anni dopo, assolutamente senza capire perché, a guardare il video di amore amorissimo, avrebbe pianto.

mercoledì 3 luglio 2013

in pecoradrago we trust

devo prendere una decisione. da circa una settimana. che per me è un'eternità: in genere prima decido e poi mi interrogo su cosa ho deciso. è capitato, a volte, che ci abbia messo un'infinità di tempo, addirittura un quarto d'ora, per fare una scelta, ma è perché nel frattempo ero stata distratta da qualcosa; la vita è un posto pieno di distrazioni interessanti. non è che io sia particolarmente sveglia o con i riflessi pronti o strasicura di tutto o che. è che mi scoccio facile. di me stessa soprattutto.
quindi, dopo una settimana, all'apice dell'autoscocciatura, sono andata dalla pecora-drago. l'ho trovata, al solito, che masticava all'ombra. le ho chiesto:
- secondo te è peggio lavorare con qualcuno di cui non ti fidi, o con qualcuno che non si fida di te?
lei ha masticato un altro po', e poi ha risposto:
- non chiederti mai cosa è peggio. chiediti sempre cos'è più divertente.
sono tornata a casa e ho travasato l'aloe. ho sentito dire di gente che riesce a travasare le piante senza versarsi mezzo chilo di terra nelle scarpe, giù per le maniche, tra i capelli, ovunque. sono chiaramente persone che hanno un segreto. e non lo dicono. pochi sanno e non lo dicono.
penso che dovrei lavare il terrazzo. a questo proposito. ogni tanto guardo le statistiche di gugl su chi arriva da queste parti. a volte mi sento in colpa che cercavate abelardo ed eloisa, un testo degli eelst, informazioni sull'aspirina, e avete trovato me: presumo che a un sacco di gente ho fatto perdere un sacco di tempo. mi scuso. davvero. e in genere non interagisco con voi in alcun modo, non faccio post buffi sulle chiavi di ricerca con cui siete arrivati qui e non sono proprio tipo da delurking day. però, all'anonimo sconosciuto che alle quattro di notte ha letto ventisette miei post, vorrei dire questa cosa (se nel frattempo non si è suicidato).
io lavo le finestre quando mi serve scaricare, quando sono arrabbiata o preoccupata o schiacciata. indipendentemente dal tempo. quindi, spesso, lavo le finestre quando piove. una volta stavo passeggiando sotto la pioggia, e ho visto un signore che lavava il balcone. non che approfittando della pioggia dava una passata con lo straccio: stava proprio lì con pompa spazzoloni e detersivi. e mi sono chiesta, ma se io quando sto così lavo le finestre quando piove, a questo, che addirittura sta lavando il balcone, che diamine gli sarà successo?
ecco, anonimo. se io quando sto in un certo modo scrivo un post, non oso pensare a come devi stare tu per leggertene ventisette di seguito alle quattro di notte. tutto quello che posso dirti è che, quando vuoi, possiamo lavare il terrazzo. e comunque, non è niente, non è per sempre. davvero.