mercoledì 26 febbraio 2014

about love and indifference

credo che l'unica spiegazione sia che sono convinte di vivere nell'emisfero australe. sono piante grasse, dovrebbero sopportare il freddo peggio di tutte le altre piante, e invece ogni anno fioriscono a dicembre. stamattina sono uscita sul terrazzo ad osservarle. sono uno splendore. fiori bianchi a mazzi, foglie verdissime, tutto un tripudio di primavera. io una volta pensavo che la primavera fosse un luogo della mente. ora ho il sospetto che sia un non luogo.
ogni tanto sento qualcuno dire, o leggo, o ascolto in tv o al cinema, che la sofferenza di un amore finito è qualcosa che ti fa sentire vivo. c'è gente che dice che gli manca, quella sensazione. perché è così viva, dicono. ieri notte ho avuto un mal di stomaco così forte come non ne avevo da un bel po', uno di quelli con i crampi, dolore puro. non è che mi abbia fatta sentire molto viva. più sul moribondo, direi.
mi sono infilata sotto il piumone nella speranza che prima o poi passasse in modo incruento. l'ipod installato tra i miei neuroni ha messo in loop 1969 di the niro. di notte, sotto il piumone, con i crampi, a pensare alla gente che si sente viva solo quando soffre per amore, e a ripetermi tra le sinapsi, stati uniti mai più.
credo che sia una canzone bellissima. ho smesso da anni di interrogarmi sulle logiche di sanremo, per cui a volte nelle nuove proposte trovo artisti di cui conosco più o meno tutte le canzoni, mentre a leggere l'elenco dei big sto lì a chiedermi, e questo chi minchia è. presumo sia colpa mia.
mi sono chiesta da quanto tempo non soffro per amore. mica tanto. anzi, relativamente poco. però già non me lo ricordo quasi più. senza quasi. il quasi l'ho messo in automatico per il senso di colpa. per tutti quei sentimenti e quei sogni e quell'energia che erano così tanto, e che sono diventati così niente. una specie di emisfero australe dei sentimenti. deve essere quella gravità che schiaccia il mondo e rende distanti.

giovedì 13 febbraio 2014

27 giorni al compleanno di james taylor

oggi è il quarantaquattresimo giorno dell'anno. 
due giorni fa qualcuno è capitato qui cercando su gugl "compleanno rocco tanica", che nel quarantaduesimo giorno dell'anno mi sembra un'ottima versione della risposta definitiva alla domanda sulla vita l'universo e tutto quanto. comunque, poiché era in anticipo di due giorni, è incappato nel post dell'anno scorso. chiunque tu sia, presumo che leggerai questo post l'anno prossimo. però, siccome sembri uno che si muove d'anticipo, ho pensato, magari tra venticinque giorni cerca "compleanno james taylor", e ho pensato di farmi trovare pronta.
non ho idea di quanti giorni manchino al compleanno di beethoven. sicuramente schroeder lo sa. o scroider, come diceva da piccolo uno di cui oggi è il compleanno. 

martedì 11 febbraio 2014

42

oggi è il quarantaduesimo giorno dell'anno. dovessero anche arrivarmi risposte sulla vita l'universo e tutto quanto, io continuo a non sapere le domande. 
comunque, nel giorno numero 42, c'è gente che compie gli anni. è gente che si diverte assai quando gli si dedica un post sul blog, e quindi, auguri, pacchi di auguri, come è stato detto.
in dimensioni parallele, c'è qualcuno che oggi fa una telefonata. una telefonata che cambia la vita a qualcun altro. che cambia anche la morte, a qualcun altro. nelle dimensioni parallele succede di tutto.
in questa dimensione, c'è qualcuno che questo giorno di qualche mese fa ha fatto una telefonata. sul cambiare la vita a qualcun altro, quello dipende tutto dal qualcun altro. il qualcun altro è ancora grato e felice per quelli che sono stati i trenta minuti e qualcosa tra i più spettacolari della sua vita. il qualcun altro nel frattempo aveva già imparato che anche quando la gente ti telefona, poi la tua vita devi tenerla in rotta tu, altrimenti cappotti, come minimo. il qualcun altro però ha imparato che imparare è andare avanti anche se ne sai meno, non è restare bloccati o tornare indietro convinti che se ne sa di più. quindi il qualcun altro del suo essere grato e felice non ha paura. 
oggi è il quarantaduesimo giorno dell'anno e io non so le domande, non ho le risposte, piove, qualcuno se ne è andato, qualcuno è arrivato, qualcuno ha telefonato, qualcuno non telefonerà mai più, qualcuno ha scritto, qualcuno no, qualcuno ha comprato un libro per me, qualcuno mi ha regalato una macchina fotografica, qualcuno forse mi ha dimenticata, qualcuno forse crede che io abbia dimenticato, qualcuno aspetta sul divano che si parta. partiamo. facciamo l'autostop. abbiamo un asciugamano e sappiamo che esiste una nave con un motore a improbabilità infinita. sta già funzionando.

domenica 9 febbraio 2014

dostoevskij, plushenko

non mi ricordo con sicurezza quale sia stato il primo. credo, le notti bianche; ho la vaga memoria di averlo trovato nella libreria di mia nonna, forse durante le feste di un qualche natale di quando ero piccola. quale che sia stato il primo romanzo russo, so quello che ho pensato ogni volta che ne ho letto uno: che io, dei russi, non riuscivo a capire niente. non che non mi piacessero. li ho adorati. da poco ho letto limonov, nel senso i libri di, e nel senso il libro su, ed è sempre la stessa storia: io, dei russi (russi, poi sovietici, poi di nuovo russi), non riesco a capire niente. la storia russa. la letteratura russa. ma anche la gastronomia russa, la personalità russa, l'architettura russa. la russia, insomma. anni fa sono stata sfiorata dall'idea di studiare il russo, poi ho optato per il giapponese perché invece i giapponesi, pur avendoli studiati meno, pur avendoli letti meno, pur essendomene, in effetti, interessata meno, li capisco. prima o poi studierò il russo.
oggi ho dato un'occhiata al canale su cui trasmettono le olimpiadi invernali. c'era il pattinaggio artistico su ghiaccio. mi sono fermata e ho aspettato. finché è arrivato. evgenij viktorovič pljuščenko. e l'ho osservato, come ho fatto per anni, da sempre, dalla prima volta che l'ho visto sul ghiaccio, da quando ancora i miei pattinatori preferiti erano altri, da quando ancora mi stava pure un po' antipatico, da quando ancora facevo fatica ad ammettere che nessuno aveva mai pattinato come lui. 
ecco, i russi non sono facilissimi da capire, per me. ma c'è una cosa che mi è sempre stata chiara. c'è un tipo di bellezza, di bellezza perfetta, di struggente bellezza perfetta, che è solo loro. non c'è nessun altro al mondo. non c'è nessun altro sognatore, nessun altro maestro, nessun altro zar del ghiaccio. non c'è nulla che separi le notti bianche di dostoevskij dal ghiaccio bianco di plushenko. sono la stessa bellezza.

mercoledì 5 febbraio 2014

parla con lei

cose che ho pensato in questi giorni.
che quella volta che sei partita per madrid, roma si è allagata. e menomale che avevi l'aereo all'alba, mezz'ora dopo e più che in aereo in spagna, saresti dovuta arrivare a fiumicino a nuoto. poi l'acqua ce la siamo sorbita noi, tu sei tornata che era tutto asciutto. bene, qui piove da dieci giorni. coerentemente. sono in arretrato di tre bucati, uno l'ho fatto lo stesso, anche se non si asciuga niente, perché stavolta non torni. e quindi tocca abituarsi all'umidità. che, anche se dovesse piovere per sempre, non è che possiamo smettere di vivere. dobbiamo semplicemente imparare a vivere nella pioggia. e fare i bucati lo stesso. prima o poi si asciugano comunque.
che non vale, che la regina viene tra un paio di mesi. l'anno scorso ci ha dato buca, e viene adesso che non possiamo andare a sventolare le bandierine. lì per lì, quando ho letto che veniva la regina, l'ho presa male. ho pensato, viene adesso che è troppo tardi. ma io non l'ho mai sentito molto mio, il concetto di troppo tardi. che poi, sinceramente, è uno dei miei limiti. fossi capace di capire cose come troppo tardi, fuori tempo massimo, nessun rimedio, mi caccerei in molti meno guai. ma io penso sempre che in fondo domani è un altro giorno. penso sempre che a tutti i casini c'è rimedio. anche se l'ho visto succedere parecchio spesso, che a volte rimedi non ce ne sono. mica mi convinco. quindi andrò a sventolare le bandierine al passaggio di sua maestà. ci andrò da sola. se non piove e non faccio tardi come al solito, guarda, passo pure per il ponte della musica.
che a volte sembra che quando qualcuno va via all'improvviso manchi una protezione. ti dico la verità, in questi giorni sono stata tanto arrabbiata, e io in genere uso la rabbia per sfiatare il dolore. invece mi sono resa conto che stavolta la stavo usando per nascondere la paura. io ho avuto paura. io ho paura. io sono spaventata prima che addolorata. sono spaventata più che arrabbiata. sono spaventata perché, di te, mi fidavo. ma mi fidavo nel senso di affidarmi. io mi fido raramente, non mi affido mai. quella cosa che dicono quelli che mi conoscono, che anche quando chiedo un consiglio, in realtà si capisce che ho già deciso. i tuoi, di consigli, li seguivo. comunque gerundio presente sta bene. continua a non fare fiori. ma va bene, va bene così, ci piace così.
che le persone bilingue parlano in modo buffo. a volte andavi in stallo e traducevi letteralmente, io non penso così. certo che ti capivano in pochi. a volte non ti capivo nemmeno io. passo tantissimo tempo ad ascoltare la radio della zietta e a guardare programmi della zietta sul tubo. anche se non ci andiamo più, a londra. ci vado io. magari mi piazzo a casa di un archeologo. sto guardando centinaia di ore di programmi con archeologi inglesi che fanno cose assurde. che poi, assurde. scavano nel passato e lo rivivono. lo facciamo tutti. loro però li pagano, noi invece paghiamo. non in denaro, in genere. da quando piove un paio di persone mi hanno chiesto se sto lavando le finestre. no. quella è un'altra storia. questa è una storia in cui si cerca e si scava.
comunque, sono fuori, gli archeologi inglesi.